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Cinema, Cannes e la violenza: la realtà supera la finzione

Si è aperto il festival più importante per il cinema europeo e l’Italia è in gara con Dogman di Matteo Garrone. Dal “canaro della Magliana” a Gomorra ai Casamonica, una riflessione sulla brutalità e le immagini che la rappresentano

Cinema, Cannes e la violenza: la realtà supera la finzione

Ha avuto inizio ieri sera  la 71° edizione del Festival di Cannes con alcune significative novità. Non si sono visti i selfie sul tappeto rosso (ce ne faremo una ragione) e ai partecipanti è stato consegnato un cartoncino con l’invito ad essere corretti (era proprio necessario!) pena severe sanzioni legali mentre non sono previste conferenze stampa di presentazione dei film in concorso (potenza delle recensioni on line!).

Si parlerà molto, speriamo, del post-cinema cioè di quanto le nuove produzioni saranno più o meno destinate alle sale piuttosto che alla distribuzione in streaming come già da tempo fanno i vari Netflix, Sky, Amazon etc. con importante successo di pubblico. Infine, da notare come gli appuntamenti di questo genere, si stano orientando sempre più verso il marketing globale piuttosto che alla qualità dei prodotti: andiamo verso il fine stagione e le produzioni USA sembrano più attratte a partecipare ai concorsi autunnali – Venezia – come pure con l’occhio agli Oscar, molto lontani da Cannes.

Nel frattempo a Roma si è consumato un delitto, un atto criminale, con una vasta eco mediatica. In verità il fatto si è svolto da oltre un mese ma solo nei giorni scorsi se ne avuta notizia con la pubblicazione (o meglio con l’inserimento in rete) di un filmato ripreso dalle telecamere di sorveglianza di un aggressione da parte di un noto clan malavitoso romano, i Casamonica, ai danni di una donna disabile e del cameriere di un bar dove reclamavano di volere essere serviti per primi e meglio degli altri clienti. Un atto di pura barbarie, di ostentazione di forza criminale.

Cosa lega i due fatti? Quale connessione esiste tra Cannes e Roma? Il filo comune è il tema della violenza che, in questo caso, si esercita a Roma, ma potrebbe avvenire dovunque, in Italia o in qualsiasi altra parte del mondo (vedi Londra proprio in questi giorni). Di violenza dura, forte, ai limiti della sopportazione, si parla proprio nel film italiano in concorso alla Croisette: Dogman, di Matteo Garrone. Viene riportata alla memoria una vicenda che ha avuto molto clamore alla fine degli anni ’80, quando Pietro De Negri, detto il “canaro della Magliana” fece letteralmente a pezzi il corpo del suo aguzzino torturatore. Dalle sequenze nei trailer che abbiamo visto del film di Garrone possiamo immaginare che non ci verrà risparmiato nulla (sarà nelle sale il prossimo 17 maggio) sul clima non solo particolare di quella storia, ma anche sul più generale argomento della rappresentazione della violenza sul grande schermo.

Il filmato di cronaca invece ha riportato facilmente alla memoria anni di produzioni televisive e cinematografiche tutte concentrate su questo tema: innumerevoli puntate di Gomorra, di Romanzo criminale, di Suburra, come pure al cinema proprio recentemente ha avuto un discreto successo il film sul criminale messicano Pablo Escobar. È stata riproposta la visione di quel mondo da tutte le angolazioni possibili e spesso ci si è interrogati su quanto, in che modo, possano avere influenzato modelli di comportamento, linguaggi, poi ripresi ad esempio dai giovani, grandi appassionati del genere.

L’interrogativo è semplice e somiglia al dilemma dell’uovo e della gallina. La televisione e il cinema rispecchiano la realtà, ne prendono spunto, riproducono fedelmente le scansioni temporali, lo spessore dei personaggi, oppure la anticipano, la sintetizzano e la ripropongono metabolizzata? Il calderone entro il quale si mescola questa dimensione e si cercano risposte è composto da un mix di potenza formidabile: la televisione, il cinema e Internet.

Difficile trovare risposte convincenti ed esaurienti. Succede spesso, anche quando si discute su un film, che si possa sostenere che la finalità del racconto visivo può anche consistere nello svelare i limiti (apparentemente infiniti) cui è capace la natura umana di esercitare violenza verso se stessa, con la speranza di poter poi sviluppare i necessari antidoti. Allo stesso modo si pone il problema quando si dibatte la questione del “diritto/dovere” di cronaca nel voler mostrare immagini cruente, nelle trasmissioni di informazione o quando si immettono nei social network.

Secondo una rilevazione Audiweb per il Sole 24 Ore “indicano in 128 i minuti passati in rete dai navigatori tra i 4-7 anni e in 214 per gli 8-14 anni mentre il 97% dei bambini italiani con età compresa tra i 4 ed i 14 anni ha seguito la programmazione televisiva nel 2016 e vi ha dedicato 208 minuti al giorno, ogni giorno dell’anno”.

Nell’antica Cina, quando i bambini si recavano a scuola per la prima volta, ricevevano come manuale Il Libro dei tre caratteri e la prima combinazione di ideogrammi che dovevano apprendere significava: la natura dell’uomo è originariamente buona.

Nonostante questa visione, più o meno condivisibile, si deve invece constatare che, nella storia dell’umanità il terreno dei comportamenti violenti e aggressivi è stato sempre arato e seminato bene e in quei solchi crescono tuttora piante avvelenate che continuano a fare vittime. Cinema e televisione appaiono però innocenti: per quanto è stato studiato e approfondito l’argomento, sembrano sempre gli esseri umani ad essere i migliori sceneggiatori delle produzioni televisive seriali o dei film di grande successo.

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