Giudizio dell’autore:
Dobbiamo essere sempre grati alla Francia per aver dato i natali ai fratelli Lumiere che, nel 1985, hanno realizzato la prima proiezione pubblica e, di fatto, inventato il cinema. La gratitudine si estende poi ai capolavori che, nel secolo scorso, sono stati realizzati da grandi registi come Jean-Luc Godard, François Truffaut, Claude Chabrol, Éric Rohmer, Robert Bresson. Nell’era moderna il cinema contemporaneo francese sembra prendere altra piega e meritano di essere ricordati Luc Besson e Patrice Leconte. Con le dovute eccezioni e con il dovuto rispetto, tutto il resto… è noia o poco più.
Non siamo lontani da questo quadro con quest’ultima produzione di oltralpe appena arrivato nelle sale italiane: Benvenuti a casa mia, di Philippe de Chauveron. I principali protagonisti Christian Clavier, Elsa Zylberstein e Ary Abittan godono di indubbio successo nel loro paese ma sembrano molto lontani e diversi dalla scuola di recitazione italiana a tal punto di apparire, al confronto, quasi esordienti allo sbaraglio. Un velo irrilevante per tutti gli altri personaggi e per tutto il resto del film che, nonostante i trailer lo propongono come semi comico, strappa a malapena qualche sorriso sommesso.
Si salva il tema, la sceneggiatura, la voglia di proporre ancora una volta al grande pubblico del cinema i problemi dell’integrazione, dell’inclusione, del dialogo con persone “diverse”. La trama del film si svolge in una casa di una coppia di parigini ricchi, colti, democratici e molto aperti, appunto, alle relazioni con altri popoli, con chi lotta per la casa o il lavoro. Per lanciare un suo libro e garantire visibilità, nel corso di un dibattito televisivo, il protagonista annuncia di “aprire” la sua casa alla prima famiglia Rom che si dovesse presentare al suo cancello. Così avviene e, da quel momento, ne succedono di tutti i colori.
Dopo i vari Benvenuti al Nord o al Sud, come merita di essere ricordato, sempre Made in France, Non sposate le mie figlie, ormai si può definire un genere questa tipologia di film tutta rivolta alle difficoltà ed ai problemi delle difficili relazioni di convivenza tra comunità di diversa estrazione religiosa o etnica sempre realizzati in chiave di commedia comica. Si tratta di un filone europeo che ormai da alcuni anni ci propone pellicole interessanti. Ne ricordiamo alcune: Jalla Jalla, Soul Kitchen, L’ospite inatteso, Il mio grosso grasso matrimonio greco ed altri ancora. Come spesso succede nella realtà, non sono pochi coloro che per un verso si manifestano pronti e disponibili a fare qualcosa nel segno dell’accoglienza, salvo poi essere sostanzialmente immobili e incapaci a concretizzare. Questo film fotografa bene questo atteggiamento dove si racconta, con amaro umorismo, il disagio di chi vorrebbe integrare, dialogare, convivere, ma non può o non vuole.
Nella sua semplicità ed essenzialità Benvenuti a casa mia graffia al punto giusto e, visto il successo di pubblico che sembra godere in Francia, tocca nervi scoperti non solo in quel paese ma anche nel nostro. Merita il biglietto con sufficienza.
Nota sugli Oscar: abbiamo scritto su Tre manifesti a Ebbing, Missouri e di Chiamami con il tuo nome che hanno ampiamente meritato le statuette. Il film di Luca Guadagnino poteva avere maggiore attenzione non solo per la sceneggiatura, che pure è di alto livello, ed era lecito attendersi qualcosa di più. Purtroppo abbiamo “bucato” altri film importanti che hanno vinto. Il rammarico rimane per La forma dell’acqua che ha avuto sacrosanto riconoscimento mentre ci siamo risparmiati L’ora più buia, forse l’ennesima riproposizione di un tema storico fin troppo trattato.