È epidemia da 3D nell’industria cinematografica. L’ultimo contagiato è “Titanic”, che torna sul grande schermo a quindici anni di distanza dal grande successo di sala (con 11 Oscar, è ancora il secondo maggior successo di botteghino di tutti i tempi, con entrate per 600,8 milioni di dollari), dopo un make-up tecnologico da 18 milioni di dollari. Il film, che racconta la tragica storia d’amore tra il passeggero di terza classe Jack (interpretato da Leonardo Di Caprio) e l’aristocratica Rose (Kate Winslet), scatenò ai tempi un delirio collettivo tra gli adolescenti, ma anche gli adulti, stregati da una tenera vicenda d’amore adolescenziale. Oggi, i “Titaniacs”, cioè i maniaci di Titanic, come li chiama affettuosamente il regista James Cameron, cresciuti e magari ingrigiti, avranno la possibilità di rivivere la drammatica storia dell’affondamento della nave più famosa al mondo nei suoi più minuti dettagli.
Un fenomeno di moda. Il Titanic è solo l’ultimo dei film classici a tornare nelle sale cinematografiche a tre dimensioni. Nel 2012 la Disney ha una lunga lista di uscite, che vede titoli amati da grandi e piccini come “La Bella e la Bestia”, “Nemo”, “Monsters Inc.” e “La Sirenetta”. E questa scelta tecnologica non sembra destinata ai soli blockbusters: l’estroso regista australiano Baz Lurhman, autore di “Romeo + Juliet” e “Australia”, ha deciso di girare il suo adattamento del celebre romanzo di Scott Fitzgerald, “Il Grande Gatsby”, in 3D. Approva la scelta di Lurhman, Jon Landau, produttore cinematografico dietro successi quali “Titanic” e “Avatar”. Per lui limitare il 3D ai film di effetti speciali equivarrebbe “a quanto succedeva 50 anni fa, quando il colore era riservato ai soli musical”.
“In fondo – continua – se il film è di buona qualità, il 3D lo migliora. Se non è buono, il 3D non aiuta di certo”. Landau critica tuttavia l’industria per un uso indiscriminato del 3D. “Molte case cinematografiche, all’indomani del successo di “Avatar”, si sono affrettare a far uscire nuove edizione di film in 3D. I risultati a volte sono stati mediocri. Ci vuole molto tempo e pazienza per confezionare un buon prodotto in tre dimensioni”.
Un business in crescita. Prodotti buoni o cattivi che siano, l’industria digitale applicata al cinema è una dei grandi fenomeni di business degli ultimi anni. Sull’onda del successo di “Avatar”, altra creatura di Cameron che ha portato 600 milioni di dollari neozelandesi nelle tasche della Weta (la casa di effetti speciali neozelandese responsabile per la parte tecnica del blockbuster ecologico) è iniziata la corsa allo sfruttamento di questo sistema di intrattenimento. Se i grandi studios americani hanno investito 237 milioni di dollari nel 3D nel 2008, questa cifra è lievitata a 800,8 milioni nel 2010. Recenti della società di ricerca Tech Navio stimano che questo business farà girare 1,5 miliardi di dollari entro il 2014.
Nuove potenzialità. Il leader di mercato è Autodesk, che controlla un terzo del business mondiale, con 6.800 dipendenti e un’attesa di 535 milioni di dollari di entrate nette nel terzo trimestre del 2012. “C’è ancora un grande potenziale nel 3D – commenta Neil Wadhawan, co-fondatore di Autodesk – mano a mano che i consumatori si familiarizzano con questa nuova tecnologia applicata a film e videogiochi, nuovi spazi si intravvedono nel training meccanico e nella pubblicità.” E quando il 3D al cinema diventerà un fatto acquisito come il film a colori, un altro mezzo è pronto a importare questa tecnica: la tv. A fiutare l’affare è stata per prima la Samsung, che ha lanciato sul mercato il primo televisore a 3D. La vita si avvia quindi a diventare sempre meno piatta per gli spettatori di tutto il mondo.