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Cina, Wen Jiabao a rapporto a Bruxelles. I dubbi sull’economia del gigante asiatico

Un mercato di 500 milioni di persone, che nel 2011 valeva 428 miliardi di euro, il doppio rispetto al 2003, e che deve continuare a crescere. Al commercio tra Unione Europea e Cina, in un periodo di crisi come quello attuale, non si può rinunciare. E non vogliono farlo José Manuel Barroso (presidente della Commissione europea), Herman Van Rompuy (presidente del Consiglio europeo) e Wen Jiabao (primo ministro della Repubblica cinese). Per questo i tre leader si sono incontrati oggi a Bruxelles.

Nessuna decisione concreta è stata presa, si è trattato piuttosto di un meeting per ricordarsi a vicenda dell’importanza reciproca e cercare di superare, almeno in facciata, le ultime impasse commerciali. Nonostante i contrasti sorti negli ultimi mesi, per Wen Jiabao, Cina e Ue “non hanno grandi conflitti di interesse. Le imprese cinesi hanno aumentato i loro investimenti in Europa e ciò ha creato più post di lavoro”. Il leader cinese ha poi reiterato le due richieste che Pechino presenta regolarmente ai suoi interlocutori in queste occasioni: l’abolizione dell’embargo europeo sulla vendita di armi a Pechino – in vigore dalla strage di Piazza Tiananmen del 1989 – e la concessione anticipata dello status di “economia di mercato” nel quadro delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, prevista per il 2016.

Ma Wen Jiabao è in Europa anche per vedere con i propri occhi come sta evolvendo la crisi del debito della zona Euro. Prima dell’annuncio del piano anti-spread del presidente della Bce Mario Draghi, le autorità europee hanno fatto pressione per mesi su Pechino perché iniettasse oltre 2mila miliardi di euro nel Fondo salva-Stati europeo. Pressioni che si sono allentate dopo le nuove misure della Banca centrale ma che, con i 3.240 miliardi di dollari di riserve del Tesoro cinese, di cui circa un quarto denominato in euro, potrebbero sempre riaffiorare.

La paura cinese deriva dal fatto che anche l’economia del gigante asiatico non sta vivendo il suo periodo migliore. Le stime di crescita per il 2012 sono state tagliate al 7,5% quando ancora all’inizio dell’anno si sperava in almeno un punto perentuale in più. L’indice pmi manifatturiero continua a posizionarsi sotto la soglia dei 50 punti, indice di recessione dell’industria. 

A rendere ancora più incerta la situazione, sono le proteste anti-nipponiche sorte negli ultimi giorni in tutto il Paese. La miccia che ha fatto infuocare gli animi cinesi è stato lo sbarco di alcune navi giapponesi sulle isole disabitate nel Mare della Cina orientale – conosciute come Senkaku in Giappone e Diaoyu in Cina. Qualche giorno dopo, in occasione dell’anniversario dell’invasione giapponese della Cina prima della Seconda guerra mondiale, in tutto il Paese sono emerse manifestazioni e boicottaggi che hanno costretto diverse imprese giapponesi a chiudere negozi e fabbriche.

Infine ci sono i dubbi circa il cambiamento di leadership del partito Comunista. Non è ancora stata prefissata una data per il passaggio del trono ma si rumoreggia che dovrebbe avvenire nelle prime settimane di ottobre. E’ chiaro che chiunque prenderà il posto di Hu Jintao come segretario generale del PCC e presidente della Commissione militare avrà un obiettivo in testa: continuare a crescere. Il favorito sembra essere Xi Jinping, il 59enne oggi vice-presidente che per i primi quindici giorni di settembre è sparito dalla scena pubblica internazionale suscitando le fantasie più disparate sulla sua assenza. Certo è che i giornalisti non avranno modo di indagare più a fondo: Pechino ha proibito la conferenza stampa post-incontro di domani.

Eppure a spaventare l’Europa non è tanto la totale segretezza con cui stanno avvenendo i passaggi ai vertci del PCC, quanto piuttosto le violenze nelle strade cinesi. Per molto tempo la legittimità del partito si è fondata su due pilastri: la crescita economica e il nazionalismo. Ora che l’economia vacilla, c’è il rischio che il patriottismo prenda il sopravvento.

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