Il nuovo corso cinese orientato ai consumi interni si farà sentire anche sulla demografia. Dopo 37 anni, infatti, Pechino rinnegala politica del figlio unico. Il Plenum del Comitato centrale del Partito comunista cinese – nei quattro giorni di discussione per l’elaborazione del 13mo Piano quinquennale (2016-2020) – ha deciso di permettere alle coppie di avere un secondo figlio senza penalizzazioni.
La politica del figlio unico fu introdotta in Cina nel 1978, sull’onda del dibattito del Club di Roma che paventava una catastrofe ambientale a causa del sovrappopolamento. La sua applicazione rigida fu avviata nei primi anni ’80 e il controllo fu affidato al Consiglio di Stato, che in Cina è l’esecutivo, attraverso un’agenzia ad hoc. L’applicazione pratica, tuttavia, è rimasta nelle mani delle province.
Il sistema prevedeva un meccanismo di multe per chi concepiva un secondo figlio e ha portato spesso ad aborti forzati o alla mancata registrazione all’anagrafe dei bambini. Negli ultimi anni la gestione delle limitazioni era stata già ampiamente allentata. Nel 2013, in particolare, le province avevano deciso di permettere alle coppie in cui uno dei componenti è figlio unico di avere il secondo figlio.
La pianificazione del figlio unico ha provocato scompensi importanti. In un Paese che da sempre considera le figlie femmine una disgrazia, tra il 2010 e il 2013 il rapporto tra uomini e donne è arrivato a 117:100. L’altro tema è l’invecchiamento.
La popolazione cinese in età da lavoro, 15-65, sta infatti diminuendo a ritmi preoccupanti: stando a dati Onu, la Cina perderà 67 milioni di lavoratori tra il 2010 e il 2030, contro un incremento della popolazione anziana da 110 milioni nel 2010 a 210 milioni nel 2030. E nel 2050 i vecchi rappresenteranno circa un quarto della popolazione.
Tutto questo senza che in realtà la dinamica dell’aumento della popolazione abbia subito un vero rallentamento: se all’inizio della politica del figlio unico in Cina vivevano 700 milioni di persone, ora sono quasi il doppio.