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Cina: non solo fabbrica, ma anche mercato. Unicredit: la grande occasione per l’export italiano

FIRSTonline

Era presente anche Simone Zhou, direttore della banca Unicredit di Shanghai, al convegno “Destinazione Cina 2011”, promosso dal gruppo bancario italiano, che si è tenuto a Milano presso il Palazzo delle Stelline. Simone Zhou è uno dei pochi cinesi in tutta Shanghai, oltre 18 milioni abitanti, a parlare l’italiano. In modo molto fluente, tra l’altro, mentre spiega degli investimenti dei Unicredit in Cina, a sostegno delle aziende italiane presenti sul territorio.

Già, perchè a Shanghai non si parlerà italiano, ma il made in Italy parla eccome. Negli ultimi 5 anni, sono quasi quadruplicate le nostre aziende che hanno base in Cina: dalle 230 del 2006 alle 900 di quest’anno. Si tratta per lo più di imprese operanti nel settore della meccanica, dell’industria di precisione, e del settore chimico-farmaceutico.

Inoltre, stando ai dati dell’Ice, non si tratta più di aziende, come accadeva inizialmente, che si insediano nel mercato asiatico tramite joint venture, ma aziende al 100% italiane, con capitale e investimenti provenienti dall’Italia. Ormai, oltre la metà rientrano in questa tipologia, mentre solo il 12% è rimasto legato alla figura del joint venturing.

Ma un altro grande cambiamento sta segnando, da quest’anno, il rapporto tra la nostra industria e la Cina: il colosso asiatico, seconda economia al mondo, sta diventando non più solo “fabbrica”, ma anche “mercato” per i nostri prodotti. Lo spiega, fra gli altri, Danilo Mazzara, manager di Accenture, azienda internazionale di consulenza direzionale e servizi tecnologici.

“Il nuovo piano quinquennale del governo di Pechino – spiega Mazzara a Firstonline – sta cambiando la caratteristiche dell’economia cinese. Fino ad oggi, viveva di export, con molte aziende estere (tra cui quelle italiane) che producevano low cost sul territorio cinese per poi vendere nel mondo. Adesso invece il Paese asiatico vuole riequilibrare il suo sistema economico e puntare sulla domanda interna, ovvero sui consumi”.

“Attualmente – continua Mazzara – solo il 34% del Pil cinese deriva dai consumi: pochissimo per un Paese così popolato e industrializzato. La media mondiale è del 61%, mentre negli Usa, nazione consumistica per eccellenza, si supera il 70%. L’obiettivo nei prossimi cinque anni è quello di più che raddoppiare le importazioni, creando un sistema economico che avvantaggi la classe media, aumentando il fabbisogno interno e i consumi”.

L’incremento delle importazioni, su un potenziale mercato di 1 miliardo di persone, è una grande occasione per l’export italiano. Attualmente, il nostro Paese non ha ancora un ruolo di rilievo nei rapporti commerciali con Pechino: nel 2010 è stato soltanto il 21esimo nel ranking, per un valore di beni esportati di soli 14 miliardi di dollari, dietro persino alle Filippine (16 miliardi), al Cile (18) e all’Angola (23).

La prima posizione in questa classifica è occupata dai dirimpettai del Giappone, che esportano in Cina per 176 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti sono al quarto posto con poco più di 100 miliardi davanti alla Germania con 74, primo Paese europeo. Davanti a noi come Stato Ue c’è anche la Francia che occupa la 18esima posizione.

L’Italia dunque non sfrutta appieno le eccellenze del made in italy, soprattutto nel settore del Food, dove la Francia ci surclassa con 329 milioni di dollari di beni venduti di fronte ai nostri 88. Fa meglio di noi persino la Germania (leader europeo dell’export) con 170 milioni di dollari. C’è solo un settore in cui il nostro export fa faville ed è l’abbigliamento, calzature e accessori di moda: 346 milioni di dollari nel 2010, primi al mondo, 3,5 volte quanto esportato dalla Germania e addirittura 4,5 volte dalla Francia.

Un’occasione da non perdere, dunque, partendo dal primato della moda e cercando di recuperare terreno su un fronte che ha molti margini di miglioramento, come quello dell’alimentazione. Già, perchè il made in Italy in Cina piace eccome. Lo dimostrano, fra gli altri, i dati sulla crescita dello shopping cinese in Italia nell’ultimo anno. Sul totale di spesa “tax-free” effettuata in Europa, l’Italia ha assorbito il 17%, dietro solo a Francia e Inghilterra.

Non solo: tra gli stranieri presenti nel nostro Paese, i turisti cinesi hanno fatto registrare la crescita maggiore, con un volume d’acquisti aumentato del 90% e una spesa pro capite di 869 euro, la più alta fra gli stranieri, migliore anche di quella di russi e americani (713 e 782 euro). Ma è anche il flusso turistico stesso ad essere raddoppiato nel 2010. Lo spiega il console italiano a Shanghai, Vincenzo De Luca: “I visti che abbiamo concesso nel 2010 per l’Italia sono aumentati del 100%: siamo diventati la prima meta europea come turismo individuale, e siamo secondi, molto vicini alla Francia, per il turismo di gruppo. E questo nonostante il fatto che la linea Parigi-Shanghai abbia 21 voli settimanali, mentre da Roma e Milano iano soltano 9″.

La Cina è sempre più vicina, dunque. Non solo meta di produzione, ma ora anche di mercato. Lo ha capito Unicredit, promotrice di questo incontro, che da 30 anni opera in Cina, nelle tre maggiori città: Pechino, Shanghai e Guanghzou (Canton). Unicredit non si limita agli aspetti bancari ma estende la sua attività alla consulenza per le aziende italiane e cinesi sulle varie componenti dell’iniziativa imprenditoriale: dal mettere a disposizione la conoscenza del territorio e del mercato, al coordinamento degli investimenti evitando ritardi e perdite economiche. Il tutto bilateralmente: per le nostre aziende che vogliono trasferirsi in Cina, e per quelle cinesi che vogliono tentare l’avventura europea.

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