La tendenza all’austerità e alla sobrietà dei costumi inaugurata dalla Cina in occasione del nuovo anno lunare ha inferto un duro colpo ai produttori di vino australiani, per i quali il gigante asiatico aveva rappresentato negli ultimi due anni la classica gallina dalle uova d’oro. Sin dal 2012, infatti, i cinesi avevano manifestato una crescente attrazione per il vino australiano, a discapito di mercati tradizionali come quello statunitense. Questa promettente evoluzione ha però subito una battuta d’arresto a seguito del programma di austerità recentemente varato, insieme a misure anti-corruzione, dal governo cinese. La nuova enfasi sulla morigeratezza, che ha svuotato i bicchieri degli amanti del buon vino, ha preso di mira tutti i beni di lusso, dalle Ferrari al vino straniero, passando per l’alta moda. Un gran numero di aziende vinicole australiane hanno puntato molto, se non tutto, proprio sul mercato cinese, in un momento in cui i mercati tradizionali sono in netta regressione e la valuta nazionale forte non favorisce le esportazioni. Il problema naturalmente non riguarda solo l’Australia, ma anche altri Paesi grandi esportatori di vino in Cina, primo fra tutti la Francia.
Il gruppo francese Pernod Ricard, il cui marchio Jacob’s Creek è uno dei favoriti dei consumatori cinesi, ha diffuso la fosca previsione secondo cui la domanda di alcolici in Cina rimarrà fiacca – se non decrescerà ulteriormente – almeno fino al 2015 inoltrato. È una stima del tutto condivisa dalle maggiori imprese australiane produttrici di vino. “Continuano ad arrivare notizie di interi stock di merce che giacciono invenduti nei magazzini cinesi,” dice Mitchell Taylor, direttore del management della Taylors nella Clare Valley. A sua volta, Bruce Tyrrell, produttore vinicolo di quarta generazione di una famiglia della Hunter Valley, osserva che le nuove disposizioni governative hanno colpito duramente un segmento chiave del mercato cinese per quanto riguarda il consumo di alcolici: lo scambio di doni aziendali. Si tratta del cosiddetto “mercato grigio”, dove grandi compagnie – o anche singoli individui particolarmente facoltosi – ordinano il loro proprio container di vini australiani per farne omaggi di lusso. Ma mister Tyrrel ha una sua propria visione ottimistica della situazione: i cinesi – dice – si sono ormai abituati a certi standard di vita e finiranno per trovare il modo di tornare alle cantine australiane nonostante i divieti di Pechino. “I cinesi” conclude “sono come gli australiani: sbarra loro la strada con una legge e troveranno il modo per aggirarla”. Sentenza innegabilmente vera anche alle nostre latitudini.