La scure della Banca centrale cinese si abbatte sullo yuan. L’istituto ha annunciato la più consistente svalutazione della moneta nazionale dopo quella di agosto 2015. Il nuovo valore del cambio è di 6,4943 yuan per dollaro, in ribasso di circa lo 0,60% rispetto a ieri. Il dato è del Trade System Foreign Exchange.
A spingere la Cina su questa strada, dallo scorso anno, sono i timori per l’economia e la massiccia fuga di capitali. Lo yuan, detto anche renminbi, è scambiato in maniera controllata all’interno di una fascia di oscillazione quotidiana del +2/2% all’interno del Paese.
Secondo Giuseppe Sersale, strategist di Anthilia, “se un dollaro troppo forte strozzava la Cina e gli Emergenti non è che la versione opposta sia di particolare giovamento al quadro globale. Quel che serve in questa fase di crescita fragile e domanda globale evanescente, è un equilibrio tra le valute, che eviti l’accumulo di stress eccessivi che finiscono per alimentare frenetici flussi di capitale che fanno esplodere la volatilità. Ma si tratta di un equilibrio difficile da raggiungere, purtroppo”.
La conferma arriva dall’andamento dei mercati. Chiusa per vacanza la Borsa di Tokyo, le preoccupazioni delle Borse asiatiche sono concentrate sulla salute dell’economia cinese: l’attività manifatturiera, in calo da 14 mesi, non riparte, nonostante la robusta iniezione di capitali (361 miliardi di dollari a marzo, il triplo del mese precedente) per stimolare la ripresa. Hong Kong -1,1%, in calo anche l’Australia (-0,8%) e gli altri listini dell’area. Più stabili Shanghai (-0,1%) e Shenzhen (+0,2%).