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Cina, il risparmio delle famiglie cresce ancora

Contrariamente a quanto lascerebbe pensare la favorevole evoluzione delle condizioni economiche e sociali delle famiglie cinesi, a un maggiore benessere non è corrisposto un adeguamento dei consumi. In contrasto con la teoria del reddito permanente, i comportamenti delle famiglie cinesi continuano a essere caratterizzati da una elevata e crescente propensione al risparmio. Secondo i dati dell’Ocse nel 2012 le famiglie cinesi hanno risparmiato una quota pari al 25,2% del Pil, 7 punti percentuali in più rispetto al picco minimo del 18,2% toccato nel 1993 e 5 rispetto all’inizio del millennio.

L’ampia letteratura in materia ha individuato molteplici determinanti alla base di questo fenomeno, in parte legate alle modifiche della struttura demografica del paese e in parte al suo graduale processo di sviluppo economico. La pianificazione familiare introdotta alla fine degli anni Settanta (con l’introduzione della politica del figlio unico) ha favorito maggiori risparmi in previsione della diminuzione del sostegno dovuto dai figli adulti ai genitori (alcuni studi attribuiscono a questo fattore un peso compreso tra il 30% e il 60% nella decisione di incremento); in Cina, peraltro, tale comportamento, più che una consuetudine, è un dovere previsto dalla costituzione (art. 49). 

Le famiglie cinesi risparmiano anche per finanziare una migliore istruzione dei figli e consentire loro di raggiungere occupazioni in grado di assicurare un reddito adeguato anche al mantenimento dei propri genitori. Indagini campionarie condotte nel 2005 e nel 2011 confermano come gli ultra-sessantacinquenni si aspettino che circa la metà delle proprie entrate provenga dal supporto familiare.

Anche lo squilibrio tra i sessi generato dall’applicazione distorta della politica del figlio unico sembra aver influito sul tasso di risparmio, soprattutto nelle regioni dove il fenomeno è più marcato: un sensibile incremento della quota di reddito non spesa si è infatti realizzata a partire dal 2003, in concomitanza dell’entrata in età da matrimonio dei nati agli inizi del periodo della pianificazione familiare soprattutto da parte delle famiglie con figli maschi. 

Sebbene finora la politica del figlio unico sia stata la ragione principale dell’aumento del tasso di risparmio nuove ricerche evidenziano come al fenomeno abbiano contribuito anche la coabitazione tra diverse generazioni, i prezzi delle abitazioni, l’aspettativa di spese mediche in aumento (a causa dell’invecchiamento della popolazione), la crescita delle spese di istruzione e il progressivo venire meno di servizi garantiti in passato dal sistema statale di protezione sociale (iron rice bowl). 

Indagini campionarie per approfondire l’andamento della propensione al risparmio per classi di età hanno rilevato come nelle classi estreme si registrino i picchi massimi: in quelle più giovani si accumula per provvedere al pagamento degli studi, in quelle più anziane per far fronte ai problemi di salute. Da tali evidenze deriva una inusuale forma a U della curva del risparmio.

A complicare lo scenario contribuisce poi anche il possesso o meno di un “certificato di residenza” (hokou) che nelle aree urbane discrimina tra coloro i quali hanno diritto a prestazioni come l’assistenza previdenziale e sanitaria, l’iscrizione a scuole pubbliche, il diritto all’abitazione, e chi no. Il piano di registrazione, istituito in passato per limitare i grandi flussi migratori dalle zone rurali verso le aree urbane, dovrebbe essere gradualmente eliminato tanto da garantire a 100 milioni di migranti la variazione del loro status entro il 2020. 

Questa trasformazione, insieme all’allentamento del vincolo del figlio unico anche nelle aree urbane (superabile se uno dei due genitori è a sua volta figlio unico) e all’ulteriore miglioramento previsto sia per i redditi sia per le prestazioni sociali dovrebbe favorire nel prossimo futuro una graduale riduzione del tasso di risparmio. Oltre che per le implicazioni legate agli effetti sull’economia reale, l’attenzione verso il risparmio è legata anche alle scelte di investimento delle famiglie, attualmente orientate soprattutto verso i depositi. 

Nel 2014 l’ammontare dei depositi dei nuclei cinesi è stato pari a 51 trn di yuan (oltre €7 trn), in aumento dell’8,9% rispetto all’anno precedente. Nel 2012 (ultimo dato disponibile con questo dettaglio) le attività finanziarie delle famiglie cinesi sono aumentate di 9,7 trn di yuan (€1,4 trn), 1,83 trn in più dell’anno precedente (+23,3%); il nuovo risparmio accumulato è stato destinato per il 60% ai tradizionali depositi mentre quote del 14% ognuna sono state investite in forme assicurative e nel risparmio gestito. 

I fondi di investimento cinesi sono ormai da alcuni anni tra i principali al mondo per asset gestiti, con masse amministrate che in diversi casi superano i $50 miliardi, un valore destinato ad aumentare alla luce anche del crescente numero di persone benestanti. Si stima che nel paese siano circa 45 milioni le persone appartenenti alla “upper-middle class” e alcune previsioni ipotizzano possano arrivare a 225 milioni nei prossimi anni. Per avere un’idea della clientela potenziale del mercato cinese, si pensi che un fondo monetario con raccolta on-line, nel 2014, dopo soli nove mesi dall’avvio delle sottoscrizioni, aveva già 81 milioni di clienti.

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