La Borsa di Shanghai si tinge di rosso. L’organo ufficiale del partito comunista cinese si appresta a sbarcare nel luogo-simbolo per eccellenza del capitalismo: il Renmin Ribao, fondato da Mao Tse-Tung, che ne firmò a mano il primo numero nel lontano 1948, è in cerca di fondi per lanciare il suo nuovo sito internet (www.people.com.cn) e per questo ha deciso di fare il grande salto.
Il sito del “Quotidiano del Popolo”, lanciato nel 1997, necessita infatti di 500 milioni di yuan (62 milioni di euro) per rinnovarsi e investire sui servizi mobile.
La Commissione del giornale deve ancora ufficialmente deliberare a favore di questa scelta epocale, ma tutti gli indizi sembrano portare verso il sì: cercare investimenti sul mercato sgraverebbe di parecchio i costi per il governo di Pechino, che già finanzia diversi organi di stampa e televisioni. Inoltre, soldi freschi permetterebbero il lancio di nuovi servizi in modo da contrastare il circuito mediatico di Facebook e Twitter, troppo occidentale per i gusti delle autorità cinesi.
In un Paese che conta oltre un miliardo di abitanti di cui quasi la metà sono internauti, la sfida del web non è questione da poco: è in gioco, secondo i piani di Pechino, il rafforzamento della propaganda di partito.
Dunque, ben venga la quotazione in Borsa. Anche se secondo alcuni esperti, questa sarà invece una scelta controproducente: il “pericolo” per Pechino non arriva dall’estero e dai media occidentali, come tuttora sostiene convintamente lo stesso presidente Hu Jintao, ma da una contro-cultura cinese che sta crescendo proprio attraverso la rete e i circuiti sociali che si sono sviluppati in questi anni in tutto il territorio nazionale.
Mettersi nelle mani dei mercati, d’altra parte, significa aprirsi alle regole del liberismo, sia economico sia culturale, e rinunciare di fatto a un controllo così sistematico sui mezzi e sui contenuti dell’informazione.
A Pechino son proprio sicuri che Shanghai val bene una Messa?