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Cina dazi, Xi si congratula con Trump e auspica una “nuova era”. Ma le contromisure a una guerra commerciale sono iniziate

La guerra commerciale che si apre dopo la vittoria di Trump

Come due maghi della strategia, Xi Jinping e Trump si studiano. E da una parte ostentano amicizia e savoir faire. Dall’altra sulle spone opposte dell’ oceano Pacifico, Cina e Stati Uniti stanno preparano le contromisure, della serie “you never know”.

Il presidente cinese Xi Jinping si è subito congratulato con Donald Trump per la sua vittoria alle presidenziali negli Stati Uniti, parlando dell’inizio di una “nuova era nei rapporti Cina-Usa“, secondo l’agenzia di stampa cinese Xinhua, auspicando “una relazione stabile, sana e sostenibile in linea con gli interessi comuni di entrambi i Paesi e con le aspettative della comunità internazionale”. Xi ha inoltre sfoderato tutta la saggezza cinese precisando che “la storia ci mostra che Cina e Stati Uniti possono trarre vantaggi dalla cooperazione e perdere dal confronto” e aggiungendo che entrambe le nazioni dovranno trovare “il modo giusto per andare d’accordo”, poiché gli imminenti dazi statunitensi rischiano di riportarli ai tempi della guerra commerciale di anni fa. Del resto, ha messo in guardia la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, “non ci sarebbe alcun vincitore da una guerra commerciale Pechino-Washington e non sarebbe positiva per il mondo intero”. Fin qui le parole. Ma i fatti, già ora che Donald Trump non ha ancora assunto l’incarico, si fanno sentire.

I dazi, ma anche ostacoli all’afflusso di capitali Usa in Cina

Trump, eredita le relazioni tra Stati Uniti e Cina ripristinate dai presidenti Joe Biden e Xi Jinping nell’ultimo anno, per cercare di risollevare i rapporti diplomatici dal livello più basso raggiunto dopo il Covid-19 e la tensione su Taiwan. Come è noto Trump ha promesso dazi al 60% su tutti i beni made in China verso gli Usa. Ma, secondo gli analisti, ci sono anche preoccupazioni circa le misure che potrebbe adottare per ostacolare gli afflussi di capitali statunitensi in Cina e la collaborazione tra società finanziarie americane e alcune aziende cinesi.

Joe Jelinek, direttore della ricerca della società di consulenza Kapronasia con sede a Singapore, ha detto che Trump probabilmente adotterà una posizione più dura nei confronti della Cina, aumentando i rischi normativi per le società finanziarie statunitensi che operano lì. Ha affermato che tariffe nuove o aumentate e restrizioni sui capitali potrebbero scoraggiare le società di Wall Street dall’espandersi in Cina, poiché si troverebbero ad affrontare controlli più rigorosi e potenziali problemi di conformità. E’ probabile che le stesse aziende americane riconsiderino le loro strategie in Cina per mitigare questi rischi”, ha affermato Jelinek, aggiungendo che ciò potrebbe portare a un ritiro o a un ritardo negli investimenti.

Alcune società di Wall Street hanno già ridotto la loro presenza in Cina, sia per il rallentamento dell’economia, sia perchè i più severi controlli normativi sulle transazioni aziendali e sulla raccolta di fondi degli ultimi due anni hanno ridotto il potenziale di fatturato del mercato. Le prime cinque banche d’investimento statunitensi – Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Banca d’America e Citigroup – hanno guadagnato 454 milioni di dollari di ricavi dalle banche d’investimento cinesi nel 2024, secondo i dati Dealogic. Anche oltre 10 studi legali statunitensi hanno chiuso tutti o uno dei loro uffici in Cina dall’anno scorso, secondo resoconti dei media e annunci pubblici. Lo studio legale Mayer Brown ha affermato che avrebbe scorporato le sue attività di Hong Kong quest’anno, mentre Dentons l’anno scorso si è separato dai suoi team della Cina continentale.

Le contromisure cinesi: incentivi fiscali e accerazione dell’export

Intanto la Cina non sta a guardare. Certamente già da prima le elezioni, a prescindere dal vincitore, le autorità di Pechino avevano capito che la situazione commerciale sarebbe cambiata. Ciò in una quadro economico difficile con un Pil che rischia di non soddisfare il target del governo al 5% per il 2024. E’ per questo che nelle scorse settimane le autorità cinesi si sono prodigate nell’annunciare diverse tipologie di pacchetti di stimolo. Già l’annuncio ha fatto crescere la fiducia di consumatori e aziende, anche se mancano ancora i dettagli e la messa a terra dei progetti.

Domani si concluderà un lunghissimo vertice (iniziato lunedì scorso) del Comitato Permanente del Congresso Nazionale del Popolo, il massimo organo legislativo cinese, dal quale alcuni analisti si aspettano iniezioni di pacchetti fiscali da almeno 2.000 miliardi di yuan (280 miliardi di dollari), a integrazione del pacchetto di stimoli monetari presentato a fine settembre. “Ci aspettiamo che vengano annunciate le cifre di massima relative alle quattro componenti principali indicate dal Ministero delle Finanze a metà ottobre” ossia la ristrutturazione del debito degli enti locali, la stabilizzazione del mercato immobiliare, l’iniezione di capitale bancario e il sostegno alla domanda interna”, si legge nel report di Bloomberg intelligence firmato dagli economisti Chang Shu, David Qu ed Eric Zhu.

Ma oltre a ciò la Cina sta contrattaccando imponendo dazi sul settore agroalimentare, grazie ai solidi rapporti commerciali con il Brasile, penalizzando le imprese americane con forti interessi cinesi e introducendo dei limiti all’esportazione di materie prime cruciali. È già accaduto lo scorso anno con il gallio e il germanio, due metalli utilizzati nei settori della difesa, delle comunicazioni e dei semiconduttori.

E’ di stamani la notizia dell’accelerazione delle esportazioni cinesi, con le imprese che si sono mosse d’anticipo riversando le scorte nei principali mercati di esportazione in previsione di ulteriori dazi da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. C’è nervosismo per la minaccia tariffaria di Trump tra gli imprenditori e i funzionari cinesi, con circa 500 miliardi di dollari di spedizioni all’anno in gioco, mentre si sono intensificate le tensioni commerciali con l’Ue, che l’anno scorso ha ricevuto 466 miliardi di dollari di merci cinesi. Le esportazioni cinesi sono cresciute al ritmo più veloce degli ultimi due anni a ottobre, secono i dati doganali pubblicati oggi, cresciute del 12,7% su base annua il mese scorso, superando la previsione di aumento del 5,2% in un sondaggio Reuters tra gli economisti e un aumento del 2,4% a settembre. Le importazioni sono diminuite del 2,3%, rispetto alle aspettative di un calo dell’1,5%, diventando negative per la prima volta in quattro mesi.

In particolare le esportazioni cinesi verso la Russia sono aumentate del 24,4% a ottobre rispetto all’anno precedente, il ritmo più rapido da novembre dell’anno scorso, secondo i dati doganali cinesi pubblicati giovedì, mentre Pechino ha confermato i forti legami con Mosca. L’aumento è stato superiore al 15,7% registrato a settembre. Tuttavia, le importazioni cinesi dalla Russia sono diminuite del 4,3% il mese scorso rispetto all’anno precedente, in contrazione rispetto al calo del 9,2% di settembre, poiché i problemi di pagamento hanno interrotto le transazioni commerciali.

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