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Cina, briglie strette su finanza e inflazione. E la Borsa frena

Imagoeconomica

Il Nasdaq continua a macinare record a getto continuo. La congiuntura dell’Eurozona, dicono i dati più recenti, è ai massimi dal 2006. A sorpresa, alla grande festa del Toro manca l’attore più scontato, ovvero la Cina. Per carità, l’economia di Pechino crescerà quest’anno dell’8 per cento, una performance buona ma non eccellente per il Drago che ci ha abituato a voli strepitosi, così preziosi per far ripartire il mondo dopo la crisi di Lehman Brothers. Altri tempi. Alla vigilia delle celebrazioni per il Centenario del Partito Comunista cinese, fondato in un hutong nel cuore della zona controllata dai francesi a Shanghai (oggi il quartiere di tendenza più chic), la locomotiva gialla tende a frenare piuttosto che scaricare la sua potenza. Infatti:

  • Pechino da settimane ha ridotto gli acquisti di materie prime, attingendo alle scorte per evitare fiammate inflazionistiche che comunque sono ben presenti, specie nelle soft commodity.
  • Le autorità, pur di evitare crack in coincidenza con la solenne festività, hanno potenziato i controlli sulla finanza ombra, senza risparmiare gruppi e consorterie in passato protette. Ne hanno fatto le spese gruppi come l’immobiliare Evergrande (125 miliardi di dollari di debiti) e, di riflesso, le banche e le finanziarie coinvolte. 
  • Va avanti intento la campagna per mettere le briglie a Jack Ma, punito per l’eccessiva indipendenza del suo impero. Il gruppo Ant, il cuore finanziario di Alibaba, d’ora in poi dovrà condividere le sue informazioni sui clienti con l’agenzia di Stato.

L’elenco potrebbe continuare. Ma la diagnosi è chiara. Xi Jinping ha deciso di metter le briglie ad uno sviluppo troppo sbilanciato sul fronte dei debiti, anche a costo di rallentare il formidabile potenziale dell’export made in China, del resto accompagnato da disastri ambientali sempre meno tollerabili.

La nuova economia dovrà del resto basarsi soprattutto sui consumi interni e così accompagnare una delicata fase di passaggio della società: anche in Cina, infatti, si fanno meno figli e, passate le feste, il Partito (la cui autorità precede e sopravanza lo Stato) dovrà porre mano ad una impopolare riforma della previdenza. In Cina oggi si ha diritto alla pensione a 54 anni.     

Queste note servono a spiegare perché, nonostante le schermaglie con gli Usa e le sanzioni collegati (l’ultima sull’import di silicio monocristallino e polisilicio, componenti chiave dei pannelli solari), la Cina non può mancare nei portafogli dei risparmiatori che vogliano cogliere, specie a medio e lungo termine, le occasioni di crescita più interessanti.  “Le recenti riforme – spiega Haiyan Li-Labbé, gestore del fondo Carmignac China New Economy- fanno emergere quattro grandi tendenze di lungo termine che offrono molteplici opportunità di investimento: l’innovazione tecnologica, la transizione ecologica, l’evoluzione dei consumi e le innovazioni in campo medicale”.  “La Cina – continua l’esperta – è uno dei grandi leader della crisi determinata dal Covid-19, che ha accelerato la rivoluzione tecnologica e la digitalizzazione dell’economia modificando profondamente le nostre abitudini di consumo, di lavoro o di svago: molte aziende cinesi sono leader globali di settori trainanti come l’e-commerce e i pagamenti online. O nelle infrastrutture fondamentali come il 5G, i data center, il cloud o l’intelligenza artificiale…”.

Insomma, alla vigilia delle solenni festività celebrate all’insegna di una stabilità politica spesso imposta con la forza, dalla repressione degli Uiguri alla fine della libertà di stampa ad Hong Kong (oggi è uscito l’ultimo numero di Apple Daily, il tabloid pro-studenti durante la rivoluzione degli ombrelli), merita prendere in considerazione i mercati del Celeste Impero, rimasti al palo nella prima parte del 2021, mentre il Toro proseguiva la sua corsa ad Ovest. Come già hanno fatto da tempo i gestori monetari investiti sulle obbligazioni in renmimbi, assai più redditizie dei bond Usa o dell’eurozona. 

Occorre però cautela. Come dimostra la crisi di Huarong, il colosso dei junk bond, ormai si può rischiare il default anche all’ombra della Grande Muraglia. Vale per le obbligazioni private ma anche per le emissioni di società appartenenti alla sfera pubblica. 

“Chi investe o vuole investire in Cina farà comunque bene a restare su strumenti liquidi – raccomanda Alessandro Fugnoli di Kairos Partners – e a tenere conto delle fluttuazioni del cambio. Quanto all’azionario, va ricordato che gli indici di borsa (su cui spesso sono costruiti gli Etf) contengono una quantità significativa di grandi carrozzoni pubblici di dubbia profittabilità. Meglio puntare sulle aziende private che si rivolgono al consumatore urbani cinese delle città intermedie, quello che aspira alla qualità ma non può permettersi il grande marchio globale”. 

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