Parigi si veste a festa con le sue luci e i suoi colori per accogliere il Tour del centenario, per la prima volta in notturna, con le “flèches tricolores” che volano sull’Arc de Triomphe, riempiendo di blu, bianco e rosso il cielo della capitale francese: una scenografia magica per festeggiare Chris Froome, il trionfatore di un’edizione dominata alla grande che come, è tradizione si è chiusa, con il festival dei velocisti sugli Champs Elysées. Ha vinto con un rush impressionante Marcel Kittel, precedendo d’un soffio i suoi rivali di sempre, Greipel e Cavendish. Per Kittel, prima maglia del Tour a Bastia, è un favoloso poker.
Va in archivio il Tour di Froome. Una corsa che ha confermato i nuovi confini geografici del ciclismo d’oggi, sempre più avaro di vittorie per i Paesi che un tempo furono la sua culla storica come Francia e Italia, che in tutto racimolano solo due successi di tappa: noi con Trentin a Lyon, i transalpini con Riblon all’Alpe d’Huez. Poca cosa davvero. E se il pedale azzurro ha pronto Vincenzo Nibali, da gettare nella mischia l’anno venturo, e non si è mai illuso che Damiano Cunego, ormai in declino verticale, facesse qualcosa d’importante al Tour, quello francese non vede talenti in giro per l’Esagono: Pierre Rolland si è esaurito inseguendo la maglia a pois; Thomas Volcker è sempre più un clown che un ciclista; Joseph Péraud è stato soprattutto valoroso a correre la crono di Chorges con la clavicola rotta fino a sbatterci sopra in un’altra rovinosa caduta a due km dall’arrivo. Troppo poco per pensare di rivincere un Tour che non vede un francese in maglia gialla a Parigi dal 1985, ultimo Tour vinto da Bernard Hinault. Anche la Spagna, pur piazzando i suoi migliori esponenti nella top ten della classifica, è rimasta a secco. Ormai a vincere tra gli europei sono soprattutto inglesi e tedeschi, che fino a qualche decennio fa erano marginali nel panorama ciclistico. Non sorprende che il Tour abbia visto la prima maglia gialla indossata da un africano con Daryl Impey, dell’Orica Greenedge, la squadra australiana che ha messo tutti in fila nella crono di Nizza. E l’inglese – rivoluzione non da poco in un Paese “nazionalista” come la Francia -ha preso il sopravvento sul francese come lingua ufficiale della Grande Boucle. Ma se hanno fallito i ciclisti francesi, non ha deluso la Francia che con il Tour ha mostrato al mondo le sue bellezze paesaggistiche e monumentali che ne fanno il Paese turisticamente più attraente d’Europa, dove l’anno venturo Vincenzo Nibali è atteso alla grande sfida con Froome e chi altro vorrà vincere il Tour 2014.
Dato dieci con lode all’extraterreste, ecco le pagelle degli “umani” nel Tour del centenario.
Nairo Quintana: secondo, maglia a pois, primo dei giovani. Per il colombiano, nato e abituato ai tremila metri delle Ande, è stato un Tour dei sogni, impreziosito dalla vittoria di Annecy-Semnoz davanti a Rodriguez e Froome. Fortissimo in montagna, decente nelle crono, tutti lo vedono come un vincitore futuro della Grande Boucle, di certo l’avversario da temere di più per quelli che lo vorranno vincere, che si chiamino Nibali o lo stesso Froome. Voto: 8
Joaquin Rodriguez: aveva puntato tutto sul Tour e dopo due terzi di corsa erano in tanti a storcere la bocca di fronte alla deludente posizione in classifica del corridore spagnolo, che sui Pirenei si era fatto staccare dai mgiliori. Ma quello che Purito ha messo in mostra dal Ventoux in poi ha fatto ricredere tutti sul suo declino. Un’escalation ai posti nobili della classifica fino a guadagnare il terzo posto che vale il podio scavalcando Contado e Kreuziger. Voto: 7
Alberto Contador: era ed è il corridore in circolazione con il palmarès più ricco con due Tour (2007 e 2009), un Giro d’Italia (2008), due Vuelta de Espana (2008 e 2012). Ma di quel corridore che ha vinto tanto, dopo la squalifica per doping, è rimasto più il temperamento che le gambe. Almeno è questa la sensazione che si è avuta vedendolo correre questo Tour: sempre generoso, tatticamente intelligente come nel furioso attacco nel vento di Saint Amand-Montrond, ma in salita il suo scatto “en danseuse”, in punta di pedali, ha perso la forza e l’efficacia di un tempo. Allora ci ha provato in discesa, a distanziare Froome, ma alla fine ha assunto più rischi senza ottenere alcun vantaggio. Voto: 6
Alejandro Valverde: fino a Tours sembrava il più in forma tra gli umani nella sfida all’extraterreste. Era secondo in classifica, quando l’incidente meccanico nella tappa di Saint Amand- Montrond ha cambiato il corso del suo Tour con la Movistar che da quel momento ha puntato tutto su Quintana, sacrificando anche Rui Costa, vincitore di due tappe in solitudine che ne fanno uno dei protagonisti inaspettati di questo Tour. Valverde è stato bravo a risalire nella top ten nell’ultima settimana di corsa fino a piazzarsi all’ottavo posto a 16 minuti circa da Froome. Un risultato che tutto sommato lo fa uscire dal Tour meno deluso di Contador. Voto: 6
Cadel Evans: 39esimo a oltre un’ora e mezzo da Froome. Basta guardare la classifica e il distacco per capire il flop totale dell’australiano, che solo due anni fa il Tour l’ha vinto battendo i due fratelli Schleck. Già staccato sui Pirenei, male nella crono di Mont-Saint-Michel, in criisi sul Ventoux, quasi da ciclo-turista nella crono di Embrun e nelle tre tappe alpine, Evans, a 36 anni compiuti, ha forse preteso troppo da sé, impostando una stagione che prevedeva Giro e Tour. Al Giro ha retto dignitosamente arrivando terzo, al Tour è franato. Voto: 4
Andy Schleck: nessuno si illudeva che il lussemburghese fosse tornato quello di qualche anno (è suo il Tour 2010, quello vinto e poi tolto a Contador), ma non averlo mai visto in un’azione degna di nota, sempre nelle retrovie, confuso nel gruppo, dà ragione a chi parla di lui come di un ex corridore, amante più della birra che della bici, svogliato e disorientato ancor più da quando non ha più al fianco il fratello Frank, fermato da un anno per doping e cacciato dall Radio-Shack. A Parigi ha chiuso il Tour al 20esimo posto a oltre 42 minuti dalla maglia gialla. Voto: 4
Ryder Hesjedal: chi è costui? Si potrebbe dire così se questo canadese non avesse vinto il Giro 2012 battendo per una manciata di secondi Purito Rodriguez nell’ultima crono di Milano. Ma da allora ha solo collezionato magre. Anche in questo Tour , concluso al 69esimo posto a a due ore e 22 minuti da Froome, non lo si è visto mai, tranne nella velleitaria fuga sul Glandon e la Madeleine. Un po’ poco per essere ancora considerato tra i big. Voto: 3
Philippe Gilbert: una maglia iridata sempre più smunta scarrozzata su due ruote per le strade di Francia senza mai un acuto, quasi una maledizione per il belga visto che non vince più dal mondilale di Valkenburg . Voto: 3
Tejay Vangarderen: quinto posto e maglia bianca nell’edizione del 2012, era venuto a questo Tour, dopo aver vinto l’Amgen California Tour, come uno dei possibili “outsider”. Ma l’americano, fatto salvo il secondo posto dietro Riblon sull’Alpe d’Huez, ha fortemente deluso completando con Evans e Gilbert il fallimentare Tour della Bmc, che ha avuto nel vecchio Jens Voight, 42 anni a settembre, l’unico rappresentante che come sempre ha dato il massimo. Voto: 4
Marcel Kittel: con quattro successi di tappa è il ciclista che ha ottenuto più vittorie parziali in questo Tour, davanti allo stesso Froome fermo a tre. Per il tedesco della Argos-Shimano è stata la consacrazione a livello internazionale: l’autentico re delle volate quest’anno, nettamente al di sopra di tutti, in particolare del suo connazionale, André Greipel, che dopo il Tour del 2012 (tre vittorie) era partito dalla Corsica con l’etichetta dell’anti-Cavendish. Voto: 9
Mark Cavendish: sempre devastante quando vince, sempre un’insidia anche quando perde. A un certo punto Cannonball è parso soffrire i continui successi di Kittel, che lo ha battuto anche a Parigi, dove lo sprinter inglese era da anni abbonato al successo. La seconda vittoria a Saint Amand-Montrond l’ha comunque portato alla 25esima tappa conquistata in carriera al Tour, una performance che lo pone alla pari con Leducq (due Tour vinti). Voto: 6,5
Marcel Greipel: una vittoria al Tour può valere per molti una carriera, ma non per il Gorilla della Lotto che dopo i tre successi dell’anno scorso era partito con bellicosi propositi anche per vincere la classifica a punti. Ma qualcosa gli è andato storto e il trionfo di Montpellier non ha avuto repliche. Voto: 6
Peter Sagan: maglia verde per aver vinto a man bassa la classifica a punti, lo slovacco leader della Cannondale è riuscito a metter la sua ruota davanti a tutti solo ad Albi. Per il resto tantissimi piazzamenti d’onore e una metodica dedizione a fare punti nelle volate per i traguardi volanti. In quello posto nella tappa che si concludeva sul Mont Ventoux ha dato spettacolo impennando la bici come un giocoliere da circo. Assoluto protagonista nel ciclismo d’oggi. Peccato che per ora la salita gli è ostile. Voto: 7
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