Per la Rai e per tutto il sistema delle TLC il 2021 è un anno di grandi trasformazioni. Per il Servizio Pubblico il primo appuntamento è previsto già per le prossime settimane quando si dovrà procedere all’approvazione del bilancio e alla nomina dei nuovi amministratori. Per l’intero perimetro del sistema di telecomunicazioni il primo impegno è in calendario per i primi giorni del prossimo settembre con l’avvio del refarming delle frequenze che si svolgerà nel pieno del dibattito sulla rete unica in banda larga. Contestualmente, è in pieno dispiegamento il 5G e alla vigilia di quando potrà prendere corpo il PNNR con gli ingenti fondi destinati all’innovazione tecnologica del Paese.
Abbiamo rivolto a Stefano Ciccotti, attuale CTO di Viale Mazzini, alcune domande proprio indirizzate a comprendere bene quali potranno essere le strategie complessive che la Rai intende perseguire per poter fronteggiare adeguatamente le sfide tecnologiche che gli si pongono. L’Azienda, infatti, è un soggetto centrale in tutto il processo di innovazione tecnologica del settore e si trova di fronte ad un crocevia di problemi di grande importanza: non solo il cambio del vertice, ma anche la prospettiva di una riforma che non potrà interessare solo il Servizio Pubblico ma l’intero perimetro delle scelte industriali di tutti gli operatori di telecomunicazioni. Ce lo ha chiesto l’Europa, come dispone la recente sentenza della Corte di Giustizia, ma ancora più lo richiede un mercato profondamente cambiato da quando è avvenuta l’ultima regolamentazione, nel lontano 2014,con la Legge Gasparri.
Ingegner Ciccotti, dal 1° settembre 2021, prenderà avvio la fase 2 del refarming delle frequenze intorno ai 700 MHz, per quanto previsto dalla direttiva comunitaria 2017/899 del 17 maggio 2017, relativa alla destinazione di tale banda per dare impulso allo sviluppo del 5G, delle tecnologie in mobilità e alla banda ultra-larga di nuova generazione. Ciò significa che i broadcasters dovranno abbandonare la trasmissione del segnale televisivo codificato attualmente in MPEG-2 per passare all’MPEG-4. Dal punto di vista degli utenti, dei telespettatori, significa che si dovranno dotare o di un nuovo apparto oppure di un decoder idoneo alla ricezione dei nuovi segnali. Al momento, questo processo di rinnovo sembra procedere a rilento e si potrà correre il rischio che a settembre alcuni milioni di televisori di vecchia generazione andranno in “nero”. Per la Rai quali prospettive intravvede? Quale strategia si intende seguire per sostenere adeguatamente questa sfida?
“La RAI sta procedendo velocemente ad aggiornare le proprie reti digitali terrestri e saremo in grado di rispettare rigorosamente il calendario ministeriale. Attraverso l’impegno delle aree ingegneristiche e di ricerca RAI e della consociata Rai Way abbiamo sviluppato una serie di soluzioni tecnologiche, in alcuni casi estremamente avanzate, che ci consentono di poter operare con la massima flessibilità. In pratica, saremo in grado di soddisfare sin dal prossimo settembre – in tecnologia DVB-T – diversi scenari di “mix” di contenuti, sia in MPEG2 che in MPEG4, in grado di permettere alla RAI di far fronte anche al rallentamento del processo di rinnovo del parco ricevitori da parte degli utenti. Dal giugno 2022 saremo pronti poi ad attivare la modalità diffusiva in DVB-T2 e, a quel punto, non solo offriremo il massimo della qualità possibile in “Alta Definizione”, ormai divenuto lo standard “new normal” per tutta l’offerta RAI, ma volendo potremo anche diffondere almeno un programma in 4K-UHD, come già stiamo facendo sperimentalmente in Valle d’Aosta”.
Come ritiene percorribile nel prossimo futuro la convivenza da un modello di diffusione dei contenuti fondata sul broadcast rispetto al broadband? La televisione sarà sempre più “smart” collegata in rete? Quali sono i progetti Rai in questa direzione?
“Nell’ultimo triennio, e in particolare durante lo scorso anno, abbiamo assistito ad un netto cambio di paradigma: siamo passati dallo spettatore/ascoltatore abituato a fruire dei nostri contenuti in modo sostanzialmente passivo e attraverso le modalità di ricezione da noi scelte, a un comportamento completamente opposto, in cui è lo spettatore/ascoltatore, ormai direi ampiamente “alfabetizzato” e propenso all’uso degli strumenti digitali, che non solo decide se e quando accedere ai nostri contenuti, ma anche “come” farlo. Di conseguenza, abbiamo dovuto cambiare rapidissimamente il nostro modo di distribuire i contenuti accelerando l’integrazione, scambiabilità e accessibilità alla nostra offerta attraverso più piattaforme, lavorando soprattutto sulla piattaforma broadband per eccellenza, rappresentata da Rai Play. Il digitale terrestre, integrato dalla componente satellitare, vede ormai il proprio ruolo non solo “affiancato” dal broadband ma, con l’affermarsi progressivo e sostanziale di Smart TV e altri device domestici di fruizione connessa ad internet, “completato” e, per fasce di popolazione che credo aumenteranno progressivamente e significativamente nel tempo, in parte “sostituito”. Per affrontare questa sfida ci stiamo muovendo su due fronti: sul lato della distribuzione dei contenuti aggiorniamo continuamente la app Rai Play , in modo da sfruttare al meglio le reti e i servizi che gli operatori internet ci mettono a disposizione, mentre lato device stiamo implementando soluzioni “ponte” che, sfruttando nuovi standard ibridi, ci consentano di garantire una navigazione flessibile tra i due mondi del digitale terrestre/satellitare e broadband. Tutto questo per permettere chi ci guarda di poterlo fare nella massima libertà, ovunque e col terminale che preferisce”.
Quali sono gli indirizzi strategici che la Rai intende perseguire nello sviluppo del 5G e della banda Ultra larga nel settore della produzione e diffusione radiotelevisiva?
“Sul lato produttivo, siamo impegnati a realizzare un ambizioso programma di ammodernamento, in grado di sostenere un forte sviluppo multipiattaforma e “content-centric” con numerosi progetti specifici. Per citare solo alcuni capitoli di intervento, consolideremo le piattaforme di emissione “lineari” (canali generalisti e tematici) e “broadband” (RaiPlay) in modo da poter tendere in un futuro ragionevolmente vicino ad un’infrastruttura unica, Ip-based, che consenta di distribuire i contenuti RAI su tutti i mezzi di trasmissione in modo ancor più omogeneo e coordinato di quanto siamo già in grado di fare oggi. L’Ultrabroadband entra in campo nei processi di ampliamento delle infrastrutture di back-end per il trattamento e la gestione unificata di tutti i contenuti Rai attraverso il potenziamento dei data-center aziendali anche con un eventuale estensione in cloud. Parlare di cloud non è così semplice come talvolta si legge: per virtualizzare all’esterno dell’azienda una serie di servizi produttivi ad alto valore aggiunto occorre valutare con estrema attenzione aspetti complessi, come qualità, sicurezza e resistenza delle infrastrutture a cui ci si affida, garanzia della “blindatura” dei nostri contenuti rispetto a possibili “cyber” attacchi, grande capacità di “data governance”, presenza di competenze informatiche di alto livello e nella giusta quantità. Si tratta quindi di una scelta certamente di strategia tecnologica ma di forte impatto sul complesso dell’organizzazione aziendale, e come tale deve essere considerata e perseguita. Proprio questa intrinseca delicatezza del tema ci spinge a guardare con estremo interesse ai piani di sviluppo del cosiddetto “Cloud Pubblico” nazionale, e ai progetti europei, come Gaia-X ed altre iniziative ad esempio in EBU; che mettono in evidenza il grande apporto dei media allo sviluppo di un’infrastruttura comune. Il 5G rappresenta poi la chiave per lo sviluppo di soluzioni produttive avanzate in mobilità, ubique e ad alta resilienza, che si andranno a integrare nei nostri progetti già avviati di razionalizzazione delle infrastrutture per la produzione delle News , sia a livello nazionale che regionale, abilitando modelli produttivi più moderni ed efficienti per le tipologie di produzione ormai consolidate, da affiancare nel medio periodo ad un refarming strutturale dei nostri Centri di Produzione”.
In un mercato fortemente competitivo sul piano tecnologico, sia nella componente di produzione dei contenuti quanto nella parte distributiva degli stessi, quali impegni e con quali costi si potrà sarà sostenere l’ammodernamento degli impianti Rai?
“I vertici RAI ci sono stati molto vicini in questi tre anni nell’appoggiare lo sforzo di rilancio tecnologico che abbiamo avviato, permettendoci anche in una fase critica come quella pandemica di poter contare su piani di investimento tecnologico importanti: mi limito a citare nel triennio 2021-2024 per la sola Produzione ed Emissione TV circa 160 milioni di euro di investimenti, in buona parte già concretizzatisi in ordini pluriennali. Abbiamo già in piedi impegni altrettanto importanti sul fronte ICT, motore della rivoluzione digitale RAI e strumento efficacissimo nella introduzione dello “smart working” a tutti i livelli dettato dalla pandemia, e su Reti e Piattaforme per quanto riguarda la webfarm Rai Play e il digitale terrestre/satellitare”.
I grandi broadcasters nazionali non possiedono una CDN (Content Delivery Network) proprietaria. Ritiene possibile che si possa avviare un progetto di interesse comune con Mediaset e gli altri operatori interessati?
“Stiamo dimostrando giorno dopo giorno che per competere con gli OTT globali serve creatività, capacità industriale e prontezza operativa. Il tutto su infrastrutture di telecomunicazioni che non sono nostre, ma di cui non possiamo limitarci ad essere solo “clienti contrattualizzati”. Un aspetto non trascurabile del processo di evoluzione è rappresentato proprio dalla ricerca di una crescente robustezza alle sollecitazioni esogene, in particolare una non sempre prevedibile modulazione dei volume di traffico, che tuttavia non può determinare alcuna flessione negli attesi livelli di qualità nell’erogazione dei servizi. Per questo motivo è indispensabile disporre direttamente di “intelligenza” distribuita su queste reti, per garantire i livelli qualitativi che ci attendiamo e evitare colli di bottiglia, che siano tecnologici, economici o più in generale di accesso ai nostri contenuti da parte dei nostri spettatori/ascoltatori. “Possedere” direttamente questa intelligenza è un fattore a mio avviso indispensabile: parlo di intelligenza soprattutto di prossimità, dislocata adeguatamente sul territorio, costituita da un’infrastruttura di edge-computing riservata e completamente gestibili da noi, che favorisca l’accesso ai nostri contenuti da parte di qualsiasi cliente di internet. “Possedere” non vuol dire necessariamente essere “proprietari” di una componente HW o SW, ma certamente comporta una forte presenza nelle infrastrutture al fianco degli operatori TLC. In questa logica ci stiamo già muovendo, e penso che una politica comune di condivisione degli obiettivi con altri soggetti potrebbe facilitare il lavoro di tutti ma, desidero sottolinearlo, ricordando sempre la nostra specificità e il nostro ruolo trainante di servizio pubblico”.
Da tempo si dibatte sul “polo delle torri” come pure della “rete unica” senza venirne a capo. Li ritiene scenari praticabili per l’adeguamento dell’intero sistema delle TLC del nostro Paese
“E’ una domanda di attualità e comprensibile, ma che riguarda aspetti di posizionamento strategico aziendale che vanno molto al di là di una lettura tecnologica come quella che mi compete, perciò mi permetto di non rispondere”.
Quale ruolo pensa che debba giocare la Rai nell’ambito del PNRR ed in quali settori?
“Credo di poter affermare facilmente che tutto quello che noi stiamo facendo in campo tecnologico ricade a pieno titolo nel capitolo della “Digitalizzazione, Innovazione; Competitività, Cultura”, ed esistono poi altre aree di investimento individuate dal PNRR che certamente possono vedere la Rai come una grande protagonista. Noi rappresentiamo una componente importante del sistema pubblico, siamo grandi utilizzatori e “alimentatori” di infrastrutture digitali e, come ho cercato di spiegare, continuiamo ad essere anche grandi innovatori. Penso che una RAI letta in quest’ottica ci consenta di essere considerati se non attori principali, almeno dei forti alleati nel perseguimento del successo del PNRR”.