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Cibo, salute, ripresa: al Food Summit Onu la svolta alimentare

Anthony Into Seaweed Farm

Solo 10 anni, anzi ormai nove, per una vera rivoluzione. Giovedì 23 settembre si apre a New York il Food Systems Summit, il primo vertice della storia sui sistemi alimentari. Lo lancia l’Onu, con una parola d’ordine semplice e chiara: Good food for all, cibo di buona qualità per tutti. E una successiva parola-chiave: Good food is everything, il cibo di buona qualità è tutto. 

Quattro parole che fanno capire quale sia la posta in gioco. Non è un caso infatti che il Food Systems Summit sia stato inserito tra gli eventi di rilievo dell’Assemblea annuale Onu che si è aperta martedì e durerà fino al 27, la prima a cui torneranno a partecipare capi di Stato e di governo dopo la spaventosa batosta del Covid. Mario Draghi sarà tra i primi a parlare al Summit, in qualità di presidente del G20. Almeno altri 90 capi di Stato e governo (o loro rappresentanti) lo seguiranno, dal Congo alla Russia, dalla Cina alla Repubblica delle Fiji.

“Abbiamo davanti a noi un periodo decisivo di 9 anni, fino al 2030, per centrare i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable development goals, SDGs) definiti dall’Onu nel 2015”, spiega Paolo Silveri, Country Director per l’America Latina e Caraibi dell’Ifad, il Fondo delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Agricolo, una delle tre agenzie ONU con sede a Roma. “Il tempo è poco, il lavoro da fare è molto”. 

La fame nel mondo infatti non solo non è sconfitta ma la battaglia per il cibo ha subìto un rallentamento dopo un ventennio di progressi e di crescita economica globale. In parte le crisi finanziarie successive al 2008 avevano già attenuato la spinta al cambiamento; la pandemia da Covid-19 è stata un elemento di difficoltà aggiuntivo.

Ma proprio il Covid ha finito per dare uno scossone al sistema. “È ormai chiaro a tutti che vi è una connessione tra alimentazione e salute anche socio-economica dell’umanità”, aggiunge Silveri. Da qui è partita la decisione del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres di lanciare 18 mesi fa un processo di consultazioni senza precedenti su tutta la catena alimentare dalla A alla Z, il che vuol dire dalla semina, alla produzione, ai fertilizzanti, alla commercializzazione, al consumo dei prodotti alimentari. Vi hanno partecipato direttamente non meno di 100.000 persone nel mondo – tra istituzioni, associazioni, attivisti, produttori, popolazioni indigene – ma se si amplia il concetto alla loro rappresentanza i numeri salgono vertiginosamente. Si calcola che 18 milioni di agricoltori siano stati coinvolti solo in Asia, attraverso i rappresentanti delle loro associazioni.

LA FAME È AUMENTATA DOPO LA PANDEMIA

“Dopo il Covid le persone che non hanno cibo a sufficienza sono passate da 690 milioni a più di 800 milioni. Solo lo scorso anno se ne sono aggiunte dai 110 ai 135 milioni. Equivale a dire che circa il 10% della popolazione mondiale non ha abbastanza da mangiare”, sono i dati che elenca Paolo Silveri. “Ma la cosa più preoccupante – aggiunge – è che se guardiamo alla qualità, quasi una persona su 2 nel mondo non può permettersi una dieta adeguata. Il fatto che oltre 3 miliardi di persone non siano in condizioni reddituali per permettersi una dieta sana scarica una serie di problemi enormi sulle comunità”.

Alla tragedia di 4,6 milioni di morti per Covid a livello globale, si aggiunge la spesa enorme che i governi affrontano per ovviare ai danni – sanitari, sociali, economici – provocati dalle carenze e dalle disuguaglianze alimentari.

CIBO, SALUTE, CLIMA, MIGRAZIONI: TUTTO SI TIENE

“Il sistema agricolo-alimentare nel suo complesso viene valutato globalmente circa 10.000 miliardi di dollari l’anno – prosegue ancora Paolo Silveri – ma le ripercussioni negative sull’ambiente e sulla salute di un’alimentazione insufficiente o di cattiva qualità sono ben superiori. La Banca Mondiale valuta intorno ai 12.000 miliardi l’anno queste “esternalità negative”, altre fonti indicano stime più alte e comunque superiori al valore della produzione. È chiaro che ci troviamo di fronte ad una situazione non più sostenibile”. 

Il problema è che mentre in materia di energia è ormai sempre più diffusa e acquisita a livello mondiale la consapevolezza che la transizione energetica verso fonti rinnovabili è un processo senza ritorno, non altrettanto lo è il fatto che la transizione alimentare non è più rinviabile. E che può, quella sì, fare da volano per la ripresa post Covid 19 oltre ad accelerare la realizzazione dei 17 obiettivi SDG dell’Onu.

FOOD SYSTEMS SUMMIT, GLI OBIETTIVI

L’attesa per ciò che sarà deciso giovedì prossimo, dunque è grande. “Il fatto che si sia lavorato un anno e mezzo per preparare il Summit fa ben sperare che sia l’inizio di un processo concreto in cui governi si impegnino con azioni precise, con politiche pubbliche e investimenti per arrivare a nutrire tutti e in maniera equilibrata e sana”.

Un primo obiettivo sarà l’impegno a rivedere gli incentivi che hanno promosso un consumo di alimenti ipercalorici o scadenti, e che hanno portato ad aumentare la quantità prodotta con politiche agricole basate sullo sfruttamento intensivo del suolo, l’uso abbondante di pesticidi, la concentrazione delle terre in poche mani, sconquassando equilibri sociali delicati. Il sistema alimentare è responsabile del 37% di emissioni di gas serra a livello globale. Ovvero, un terzo delle emissioni globali serve a produrre cibo. L’alimentazione-spazzatura, l’aggiunta di zuccheri nelle bevande e nei cibi fanno registrare un aumento dell’obesità infantile, una maggiore diffusione del diabete e malattie cardiovascolari che si manifestano prima del tempo. 

Secondo obiettivo, spingere l’innovazione e renderla accessibile a tutti: oggi 500 milioni di piccoli agricoltori non hanno accesso all’innovazione – cruciale per attirare giovani – né possono pagarla. 

Terzo obiettivo, promuovere gli investimenti. “Il fabbisogno stimato per promuovere la trasformazione del sistema alimentare globale è valutata in 300-350 miliardi di dollari l’anno. I benefici e l’effetto moltiplicatore stimati arrivano a 5.700 miliardi di dollari l’anno in termini di posti di lavoro, minori spese sanitarie, riduzione delle emergenze alimentari, delle migrazioni. Finora sono stati affrontati costi umani e finanziari enormi, converrebbe invece investire per un’alimentazione più sana e per assicurare a tutti una vita dignitosa”.

LA TRANSIZIONE ALIMENTARE E GLI SQUILIBRI DA CORREGGERE

In conclusione, occorre ripensare completamente il sistema. Tutto ciò richiede risorse e decisioni politiche che gli Stati, con le finanze pubbliche appesantite anche dai costi della pandemia, da soli non possono affrontare. “Un ruolo importante possono averlo le Banche Pubbliche di Sviluppo, quali ad esempio la brasiliana Banca nazionale di Sviluppo economico e sociale (Bndes) o Cdp in Italia. I piccoli agricoltori producono in media oltre il 30% del fabbisogno alimentare mondiale e in alcuni Paesi la percentuale sale al 70-80% ma non possono permettersi una dieta sana. È una contraddizione inaccettabile” afferma Silveri. “Sono loro quelli che soffrono di più dei cambiamenti climatici e sono in prima linea per combatterli ma ricevono solo l’1,7% delle importanti risorse stanziate dai governi per contrastare il surriscaldamento del clima. Ci sono squilibri enormi da correggere nell’interesse di tutti”.

Ci sono anche enormi opportunità, soprattutto per Paesi – come l’Italia – dove la valorizzazione dei prodotti locali, della cultura alimentare sana, delle produzioni di origine controllata possono svolgere un ruolo importante. Un patrimonio enorme da sfruttare.

Lo scopo del Summit è dunque di arrivare ad azioni concrete. Fao, Ifad e World Food Programme avranno la responsabilità di monitorare la loro messa in opera a livello dei singoli Paesi. 

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Categories: Economia e Imprese