Nella grande confusione di idee che regna sotto il cielo d’Italia, specie dopo le elezioni del 4 marzo, rinfranca l’animo rileggere gli interventi di Carlo Azeglio Ciampi all’Associazione Bancaria Italiana, oggi raccolti in un prezioso volume edito da Laterza, in collaborazione con l’Abi e con l’Istituto Luigi Einaudi per gli studi bancari, finanziari e assicurativi. Colpisce la precisione del linguaggio, la ponderatezza, la chiarezza di idee sugli obiettivi di fondo, la cura dei dettagli, la capacità di mettere sempre al centro l’interesse della Nazione.
Colpisce ancora di più dover constatare che molte delle idee-forza di Ciampi, che sono state le idee di svariate generazioni di riformisti italiani, sono oggi dimenticate o apertamente contestate. Vale la pena dunque di rileggere Ciampi per capire da dove partivamo, quanto cammino abbiamo fatto, quanta fatica abbiamo fatto per compiere quel cammino e perché sarebbe oggi deleterio tornare indietro, a un‘Italia rinchiusa nelle proprie frontiere economiche e finanziarie, ma anche politiche e culturali.
L’obiettivo che Ciampi perseguì con straordinaria perseveranza nel corso dei decenni era quello di portare l’Italia al livello delle nazioni più evolute, dal punto di vista economico, finanziario e bancario. Di qui anche l’obiettivo prioritario di far sì che l’Italia entrasse sin dall’inizio nella moneta unica. Nell’intervento del giugno 1996, quando non era affatto chiaro se l’Italia sarebbe riuscita ad entrare nel gruppo di testa, Ciampi non nascose le difficoltà, ma ribadì con forza: “Rimanere, anche temporaneamente, «fuori» avrebbe effetti, ripercussioni, che andrebbero al di là delle pur rilevanti conseguenze economiche, finanziarie, monetarie”.
E aggiunse: “Non vi è bisogno di dire di più. Ognuno di noi, nel proprio intimo lo sa, lo sente”.
Oggi alcuni affermano che per l’Italia l’adesione all’euro fu una scelta sbagliata. Qualcuno mette in dubbio le legittimità di quella cessione di sovranità, quasi fosse stata un colpo di mano. Non è così: l’adesione alla moneta unica fu l’obiettivo condiviso dell’intera nazione, dei partiti politici, delle parti sociali e dell’opinione pubblica. Quella ampia condivisone traeva origine dalla consapevolezza che, stando fuori, l’Italia si sarebbe preclusa traguardi di modernizzazione che andavano ben al di là della sfera economica e monetaria.
Entrare nell’Euro significava per Ciampi mettere fine ad uno stato di disordine dell’economia che l’aveva caratterizzata dalla fine degli anni sessanta. Quel disordine si manifestava nell’alta inflazione, nelle frequenti svalutazioni del cambio, nel crescente debito pubblico. Esso nasceva, in ultima analisi, da un fallimento grave della politica e forse dell’intera società: l’incapacità di commisurare le aspirazioni alla realtà, gli obiettivi ai mezzi. Quel disordine è costato caro agli italiani, che hanno visto falcidiare i loro risparmi dall’inflazione, e tutt’ora sta costando caro per via di un debito pubblico che siamo ancora ben lungi da debellare.
Di quel disordine, di cui si ha oggi un ricordo deformato, molti sembrano avere nostalgia. Si vagheggia un’età dell’oro, che non è mai esistita, se non forse nei primi due decenni del dopoguerra.
Dalla fine degli anni sessanta, l’Italia è stata sempre in crisi o sull’orlo della crisi, sempre bisognosa dello scudo del Fondo Monetario o della Comunità Europea, sempre dunque debolissima, anche per via dell’instabilità politica, sullo scacchiere internazionale. Sopravvisse alle turbolenze internazionali degli anni settanta con lo scudo della lettera di intenti firmata nel febbraio 1974 da Guido Carli con il Fondo Monetario internazionale che però non impedì la grave crisi dei cambi del gennaio 1976 e un’inflazione che, anche a causa dell’accordo Lama-Agnelli sulla scala mobile, fu sempre più alta che in tutti gli altri paesi avanzati. Sopravvisse agli anni ottanta accumulando debito e mettendo tutti gli oneri a carico delle generazioni future. Il conto gli italiani cominciarono a pagarlo con la crisi del 1992.
Ciampi era lucidamente consapevole della fragilità dell’Italia e, da patriota qual era, non se dava pace. Sperava che con l’Euro l’Italia cominciasse finalmente a contare e lo disse chiaramente nel giugno del 1998, quando ormai l’obiettivo dell’Euro era stato conseguito: “Oggi l’obiettivo non è «restare in Europa», ma «contare in Europa»: l’Italia, con la sua identità nazionale, con la sua forza economica, sarà fondamentale nel realizzare il disegno europeo, tracciato quarant’anni fa nel Trattato di Roma”.
Oggi molti pensano che se non ci fosse l’euro i rapporti di forza fra Italia e Germania sarebbero più favorevoli all’Italia, ma si sbagliano di molto e non ricordano cosa succedeva prima dell’Euro.
Per Ciampi, portare l’Italia al livello dei paesi di maggior successo significava anche liberalizzare il settore finanziario, eliminando quell’enorme congerie di vincoli che ne azzoppavano l’efficienza. Oggi ci lamentiamo delle banche, dei prestiti dati agli amici degli amici, dei collocamenti di prodotti rischiosi inadatti piccolo risparmiatore. Ma allora il sistema bancario era una grande burocrazia, per lo più asservita a questo o quel potentato politico. Eppure anche in questo caso ci sono tanti che vagheggiano il ritorno alla banca pubblica, anche in questo caso nostalgici, forse inconsapevoli, di un’età dell’oro che non ci fu mai.
Oggi chi difende le politiche per la concorrenza, specie nel settore finanziario, viene spesso accusato di essere in preda ad una sorta di “infatuazione neoliberista”. In alcuni paesi le liberalizzazioni andarono oltre il dovuto, ma non in Italia dove, come testimoniano gli scritti di Ciampi, era del tutto evidente che un sistema immobile forniva un cattivo servizio alle famiglie e al sistema delle imprese.
Non tutto oggi funziona al meglio e, come ha affermato il Governatore Visco alla presentazione del volume, nel nuovo assetto europeo non sono ancora del tutto risolte questioni cruciali come la gestione delle crisi bancarie. Ma sarebbe davvero deleterio se qualcuno si illudesse di risolvere i problemi dell’oggi con un impossibile ritorno al passato.
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Articolo ottimo. Mi sembra che sia stato dimenticato tutto quello che ci aveva animato negli anni Novanta, in reazione a quanto di peggio era stato fatto negli anni Settanta ed Ottanta. Questa involuzione della memoria è la cosa più preoccupante