Condividi

Chiusura negozi domenica, rischia soprattutto la Gdo

La proposta dei 5 Stelle di chiusura domenicale arriva in un momento delicato per il settore: secondo i dati di Mediobanca il fatturato delle catene commerciali è in crescita, ma con la redditività del capitale ai minimi, soprattutto per la Gdo – Volano invece i discount – La classifica di chi sale e chi scende.

Chiusura negozi domenica, rischia soprattutto la Gdo

La chiusura domenicale dei negozi non s’ha da fare. E a soffrirne di più, nel panorama del commercio in Italia, potrebbe essere proprio la grande distribuzione organizzata, quella apparentemente più solida. Il grido d’allarme è lanciato da uno studio realizzato da Bain & Company per Confimprese, che stima in 34 miliardi di euro i danni sul fatturato complessivo delle imprese del retail, se dovesse passare la proposta del Movimento 5 Stelle di chiudere i negozi per 40 domeniche l’anno. Una flessione del 13%, alla quale va aggiunto il rischio di perdere il posto di lavoro per 70mila impiegati del settore (più almeno altri 10mila con l’indotto). A questa previsione da “lacrime e sangue” si aggiunge lo studio elaborato dall’Area Studi di Mediobanca sullo stato di salute dei grandi operatori commerciali in Italia, compresi i player internazionali presenti nel nostro Paese.

Gli operatori presi in esame rappresentano il 97% del mercato delle catene commerciali in Italia, che nel 2017 ha fatturato 83 miliardi (al netto dell’Iva), con un incremento del 4,4% sull’anno precedente e soprattutto con la performance migliore dal 2014. Gli utili hanno superato il miliardo di euro, miglior dato dal 2013. Ma non è tutto oro quel che luccica: i margini operativi del settore sono infatti ai minimi storici, la redditività del capitale investito è scesa al 4,8% nel 2017, un dato più basso rispetto allo stesso costo del capitale (6%) e che quindi evidenzia un mercato che vende ma che si sta saturando, a discapito degli operatori meno performanti, che a sorpresa sono proprio quelli della Gdo.

Lo studio infatti divide il mercato in quattro grandi categorie: la grande distribuzione organizzata (Gdo), ovvero le grandi catene gestite da gruppi societari italiani o internazionali come Esselunga, Carrefour, Auchan etc; la distribuzione organizzata, cioè i consorzi e le unioni tra piccoli marchi che però continuano a restare indipendenti; il mondo delle cooperative; i discount. Ci sarebbe poi anche l’e-commerce, che però in Italia continua ad avere un ruolo marginale, rispetto alle vendite degli operatori presi in esame (quindi senza contare Amazon). Da questa suddivisione emerge che è proprio la Gdo a rallentare di più, mentre i marchi intermedi e i discount fanno la parte del leone. La Gdo, nel suo insieme, ha visto il fatturato crescere solo dello 0,2% nel 2017, a differenza dei discount che viaggiano a quasi il 10% annuo dal 2013.

Non solo. Del totale dei ricavi della grande distribuzione commerciale in Italia, la Gdo ne produce solo poco più di un quarto, contro il 33% della distribuzione organizzata. Ma soprattutto contribuisce solo al 2,5% degli utili, contro il 44,3% della distribuzione organizzata e il 34% dei discount, che pur partecipano appena al 15,6% dei ricavi, secondo i dati elaborati da Mediobanca. Anche il rendimento del capitale investito (Roi), che in media totale è del 4,8%, vede la Gdo al 3,5% contro il 19,9% dei discount. “I discount – ha esemplificato Gabriele Barbaresco, responsabile dell’Area Studi di Mediobanca – hanno un Roi paragonabile a quello dei grandi marchi del lusso, come ad esempio Luxottica e FerragamO.

La catena più redditizia è Eurospin, azienda italiana, con il Roi al 23%, che fa meglio dei due competitor tedeschi presenti in Italia nel settore discount, Lidl e Penny Market. Vanno invece meno bene i marchi italiani della Gdo, da Esselunga a Pam. Per alcuni motivi, a incominciare dalla concorrenza internazionale, soprattutto quella dei due colossi francesi Carrefour (che ha nell’Italia il suo primo mercato estero con oltre 1.000 punti vendita) e Auchan. Tutti i gruppi internazionali sono infatti presenti anche all’estero (la media è di 24% delle vendite all’estero), ad eccezione soprattutto di quelli Usa che hanno un mercato interno sufficiente, mentre la Gdo italiana ha una dimensione esclusivamente nazionale.

Questo si ripercuote inevitabilmente sul fatturato: WalMart, che è l’unico tra i big Usa a vendere anche all’estero, è il primo per ricavi tra i 18 principali operatori mondiali analizzati, con 413,4 miliardi. Da solo, fattura più di un Paese come l’Austria. Poi c’è la connazionale Kroger col oltre 100 miliardi, Carrefour, la britannica Tesco e così via. L’ultima delle diciotto, cioè la spagnola Mercadona, fattura 21 miliardi nel 2017, più della prima Gdo italiana, Coop con 14,8 miliardi. Con una considerazione: Mercadona è tra i pochi gruppi europei, a parte quelli italiani e la britannica Sainsbury, ad operare solo nel proprio Paese. Però ha 1.627 punti vendita che gli fruttano 8.600 euro per metro quadrato, più dei 4.500 di Carrefour, dei 6.900 euro di Tesco e dei circa 4.000 di WalMart e Kroger. Il mercato frammentato italiano ha così finito per favorire la crescita dei piccoli, anche loro però minacciati dall’eventuale chiusura nelle domeniche.

Commenta