Keir Starmer è il nuovo primo ministro del Regno Unito, ma è anche l’uomo che è riuscito a riportare i laburisti al potere dai tempi di Gordon Brown. E sembra passata un’eternità. È colui che ha inflitto ai conservatori la più grande sconfitta elettorale della loro storia, anche se sono in molti a sostenere che i Tory abbiano fatto tutto da soli. È soprattutto una figura che gli stessi britannici faticano ancora a capire: sfuggente, ossessionato dalla privacy (nessuno conosce il nome dei suoi due figli), mai sopra le righe, tranne quando si parla di calcio che usa come metafora per qualsiasi cosa. Ma anche concreto, pragmatico e, parola sempre più difficile da utilizzare nel panorama politico odierno, moderato.
Si dice che abbia poco carisma e che questa sia stata una delle caratteristiche che lo hanno portato alla vittoria. Dopo gli eccessi di Boris Johnson e le assurdità viste nei 45 giorni di Governo di Liz Truss, i britannici avevano bisogno di qualcuno che riuscisse a mantenere un profilo basso, ma decoroso. Si dice che sia poco amato anche all’interno del Labour Party, quel partito che ha rivoltato come un calzino rendendolo “votabile” da quel ceto medio che nel corso di quattordici anni di governo ombra lo aveva abbandonato a causa di un radicalismo sempre più spinto. Si dice che tenga sulla scrivania dell’ufficio nel suo quartier generale di Camden la foto di Johan Cruijff in bella vista, ma sia tifoso dell’Arsenal. “C’è qualcosa di più britannico del calcio?”, commentano retoricamente alcuni osservatori.
Ciò che è certo è che dopo le elezioni anticipate del 4 luglio, Keir Starmer è entrato dalla porta principale, la famigerata porta nera con il sopraporta bianco, al numero 10 di Downing Street, forte di un successo elettorale senza precedenti che ha dato ai laburisti una maggioranza granitica in Parlamento. Da lì governerà un Regno Unito chiamato a rifondarsi dopo una Brexit che ha lasciato ancora più strascichi di quanto si pensasse, a rivitalizzare un’economia che non è mai crollata, ma che fatica a riprendersi e a trovare soluzioni, a riallacciare i rapporti con l’Unione Europea che, volenti o nolenti, dovranno esserci.
Chi è Keir Starmer
Sessantun anni, figlio di un’infermiera e di un artigiano, una moglie e due figli. Nato e vissuto nel sobborgo londinese del Surrey, Starmer non è nato con la camicia, ma a differenza della stragrande maggioranza dei politici britannici, se l’è conquistata. “Sir” c’è diventato da grande, dopo essere entrato nel Consiglio privato di sua maestà, un gruppo di consiglieri di alto rango che forniscono consulenza alla monarchia.
Prima però ha lavorato sodo, studiando legge a Leeds e poi ad Oxford – “sono il primo della mia famiglia ad aver frequentato l’università”, ha raccontato – e diventando un avvocato specializzato in diritti umani. Al celeberrimo Old Bailey, l’edificio che ospita il Tribunale di Londra, ha affrontato cause contro colossi petroliferi e McDonald’s, ha sostenuto Amnesty International e difeso uomini accusati di terrorismo. Leggende narrano che sia stato proprio lui ad ispirare il personaggio di “Mr. Right” interpretato da Colin Firth nel “Diario di Bridget Jones”. Poi è passato dall’altra parte, andando a guidare l’ufficio della pubblica accusa del Regno Unito. Il Labour party però ce l’aveva nel sangue e soprattutto nel nome che i suoi genitori hanno voluto dargli in omaggio a Keir Hardie, il politico scozzese che nel 1893 fondò l’Independent Labour Party.
Il salto in politica era dunque d’obbligo. Risale al 2015 il suo primo ingresso in Parlamento, dopo la vittoria nella circoscrizione di Holborn and St Pancras. Nel governo ombra guidato da Jeremy Corbyn era il ministro-ombra per la Brexit, che oggi definisce “un’opportunità da perfezionare”. Passano cinque anni e nel 2020, dopo la sonora sconfitta subita dai laburisti alle elezioni del 2019 che confermarono la premiership di Boris Johnson, vince le elezioni interne al partito con il 56% dei voti e ne diventa leader succedendo a Jeremy Corbyn, che aveva lasciato nel dicembre dell’anno prima.
Cosa dice Keir Starmer: le posizioni
Qualche tempo fa, ad alcuni elettori che lo contestavano, Starmer ha risposto: “Abbiamo smesso di essere un partito di protesta cinque anni fa, ora vogliamo essere un partito al potere”. Stando ai numeri usciti dalle urne, c’è riuscito eccome. Ma non è stato per nulla semplice.
Nei suoi cinque anni da leader, in maniera tanto silenziosa quanto costante e perentoria, ha profondamente cambiato il volto del partito laburista. Via ogni radicalismo sia in politica che in economia, via ogni “ombra antisemita”. E non è un caso che uno dei primi epurati sia stato proprio Corbyn, che di accuse di antisemitismo, tema delicatissimo ancor più nel Regno Unito, ne ricevette più di una nel corso della sua leadership.
“Ho cambiato e gestito il Labour e ora farò lo stesso al governo”, ha detto in più occasioni Starmer. Il suo motto? Nessun “Britain first”, nessun “make Britain great again”, ma molto più semplicemente “Voglio che tra cinque anni gli inglesi dicano di stare meglio di oggi”.
I capisaldi della sua politica? Una sanità pubblica accessibile a tutti, la scuola, la cancellazione degli inumani rimpatri in Ruanda voluti da Rishi Sunak. Sulla Brexit conferma il suo pragmatismo: occorre rispettare il voto dei cittadini e dunque mantenere il Regno Unito fuori dal mercato unico europeo, ma bisogna anche riallacciare i legami con l’Ue su temi fondamentali come ambiente, lavoro e immigrazione su cui la Gran Bretagna non può fare da sola.
Sarà un lavoro duro, incessante, che lui porterà avanti ogni giorno. Si fermerà solo alle 18 di ogni venerdì, quando tornerà a casa per trascorrere del tempo di qualità con la sua famiglia, ha detto pochi giorni fa. Prima delle elezioni, il partito conservatore ha cercato di sfruttare queste dichiarazioni a suo favore chiamandolo “premier part time”. Non ha funzionato. Meglio un premier part time che uno continuamente coinvolto in scandali (Johnson), che fa crollare la sterlina senza colpo ferire (Truss), che prende esseri umani come se fossero buste della spesa e li porta in Africa (Sunak) avranno pensato molti elettori.
Photo credits: Maria Unger. Parliament Uk. ID: 41767