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Chernobyl 30 anni dopo il disastro nucleare

Cade oggi il 30esimo anniversario della più grave catastrofe della storia del nucleare civile. Era il 26 aprile 1986 quando a Chernobyl – oggi in Ucraina, allora Unione Sovietica – esplose un reattore della centrale atomica. L’incidente si verificò durante un test per il quale erano stati staccati i sistemi di sicurezza, una prova per verificare il funzionamento della turbina in caso mancasse improvvisamente la corrente elettrica. Errori umani e tecnica difettosa crearono le condizioni per il disastro: fuoriuscirono circa il 50% di iodio e il 30% di cesio, disperdendosi nell’atmosfera, con un’emanazione di radioattività tra i 50 e i 250 milioni di Curie, quantità circa cento volte maggiore rispetto a quella delle bombe americane su Hiroshima e Nagasaki nel 1945.

Sebbene il disastro giapponese avvenuto a Fukushima nel 2011 abbia raggiunto lo stesso livello massimo di classificazione sulla scala internazionale “Ines”, il settimo, l’incidente di Chernobyl è considerato ancora dagli esperti il più grave, per la velocità, l’entità della fuga di materiale radioattivo e gli effetti sulla salute e sull’ambiente nell’area. La nube radioattiva si spostò rapidamente verso gran parte d’Europa, ma secondo l’Iaea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) l’esplosione portò i livelli massimi di contaminazione nel raggio di 100 km dalla centrale.

Solo il 27 aprile, 36 ore dopo l’incidente, furono evacuati i 45 mila abitanti di Pripyat, cittadina a un passo da Chernobyl, e nei giorni successivi circa 130 mila persone in un raggio di 30 km dovettero lasciare le proprie case. In totale furono circa 350 mila le persone evacuate dalla regione e costrette a trasferirsi altrove. L’allarme in Europa giunse dalla Svezia il 28 aprile, quando venne registrata radioattività anomala nel Paese. Nei primi dieci giorni successivi alla catastrofe si tentò con ogni mezzo di fermare la fuga radioattiva: elicotteri militari versarono oltre 1.800 tonnellate di sabbia e 2.400 tonnellate di piombo sul reattore, ma solo il 6 maggio la situazione tornò sotto controllo. L’allora segretario del Partito comunista sovietico, Mikhail Gorbaciov, ammise il disastro solo il 14 maggio.

Secondo l’Iaea furono circa 4.000 le vittime causate direttamente dalle radiazioni. Cifre non ufficiali parlano però di 25 mila morti fra Ucraina, Bielorussia e Russia. Tuttavia, non esistono certezze sui numeri delle persone colpite da malattie – cifre sempre non ufficiali indicano 100 mila casi di tumore alla tiroide per persone di tutte le età nelle tre ex repubbliche sovietiche – e da disturbi psicologici che possono aver interessato i cinque milioni di persone che anche per un breve periodo sono state esposti a radiazioni sopra la norma appena in seguito alla catastrofe.

Nel 2017 dovrebbe essere ultimata una nuova struttura di protezione alta 105 metri, lunga 150, con una campata di 257 metri e un peso 29mila tonnellate. Questa sorta di gigantesco sarcofago sarà trasporto sopra la vecchia centrale e secondo i progettisti resisterà per almeno un secolo. L’impianto di stoccaggio è destinato a contenere le 20 unità di combustibile radioattivo che venivano impiegate negli altri 3 reattori di Chernobyl, rimasti in funzione fino al 2000. Il ritardo nella costruzione della struttura, che doveva essere ultimata nel 2015, è legato alla difficoltà nel reperimento dei fondi: alla fine dell’anno scorso il Chernobyl Shelter Fund aveva raccolto 1,3 miliardi di dollari, ma negli anni i costi sono saliti a 2,4 miliardi.

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