Nell’alta cucina e nella ristorazione di qualità gli chef sono più uomini che donne. Perchè? E’ una professione maschile? E’ il genere, il talento o la passione che fa la differenza? Lo abbiamo chiesto a Filippo Sinisgalli, chef del Palato italiano, club di gourmet che punta punta sui prodotti enogastronomici del Made in Italy d’eccellenza e che nel suo team ha aperto alla linea rosa. “Non ha molto senso – sostiene Sinisgalli – parlare di donne chef o di uomini chef…Sarebbe come fare la differenza tra chef biondi oppure bruni, preferisco però non dire chef “di talento” quanto chef che “seguono il proprio talento”. Un cuoco che non segue la propria vocazione è qualcuno che ad esempio sta in cucina con una toque in testa ma con una voce dentro che lo implora di andare a fare il giardiniere. “Togli il grembiule -gli direi- non vediamo l’ora di avere un nuovo giardiniere, che sarà meraviglioso perché sta seguendo il suo talento!”.
Ma perchè Sinisgalli ha chiamato due donne nel suo staff? Sono all’altezza della sfida dell’alta ristorazione? “La mia brigata – racconta lo chef del Palato Italiano – è un’unità bellissima, fatta di tanti elementi, ognuno porta la propria identità trovando il modo di armonizzarsi agli altri. I percorsi singoli sono personali e non tutti sono allo stesso stadio, ma le ragazze hanno stoffa e si vede. Non hanno niente da invidiare agli uomini. Naturalmente ognuna ha il suo stile, ma la sfida la stanno vincendo”.
Qual è l’identikit delle donne dello staff che lavorano nella cucina del Palato? “Nella mia squadra – spiega Sinisgalli – ci sono due ragazze. Una è Martina Dodeci, che ha 24 anni e viene da un paesino dei Nebrodi, San Marco d’Alunzio in provincia di Messina. Non faccio giri di parole: è una persona sulla quale sto puntando. Le dedico tempo ed energie, le dò responsabilità che lei prende in carico e interpreta alla grande. Cerco anche di aiutarla ad abbattere quel muro (solo mentale!) secondo cui una donna, anche per questioni di fatica, avrebbe più difficoltà a diventare chef rispetto a un uomo. Ha leadership e sete di conoscenza e anche nell’alta cucina questo conta. Vuol sapere tutto delle cotture e ha passione soprattutto per la preparazione dei piatti di carne: è stata mandata al Palato Italiano dall’amico e maestro Luciano Tona, che ne aveva intravisto le potenzialità e desiderio di sapere. L’altra è Rossana Sempliciano, 29 anni di Grumello in provincia di Bergamo: cura il lato creativo della pasticceria e la panificazione, due ambiti a cui tengo molto e che tutti i giorni nella nostra cucina sono protagonisti. Prima di arrivare al Palato Italiano lavorava già nella ristorazione, ma disse che voleva essere qualcosa di più che una “brucia padelle”. Ha un’anima d’artista e perciò ho pensato che l’estro della pasticceria avrebbe fatto per lei e un giorno gliel’ho proposto. Da allora è trascorso un periodo lungo e intensissimo. Non nascondo che tecnicamente siamo partiti quasi da zero, per lei la pasticceria fino a quel momento era stata un hobby ma oggi sta già raggiungendo risultati molto soddisfacenti”.
Insomma, non è questione di genere maschile o femminile: anche nell’alta cucina la vera differenza la fa la passione, oltre naturalmente al talento. Ma sentiamo direttamente dalle due ragazze come vivono questa esperienza di alta cucina al Palato Italiano. “Lo chef mi sta insegnando tanto: la sua presenza in cucina – dice la Dodeci – si sente e fa la differenza. È impressionante osservare fin dove si spinga la sua ricerca per la perfezione e questa per noi ragazze è una grande lezione. Una cosa che mi ha colpito da subito è stato vedere come non ci fosse un solo elemento poco importante per lui: dalla cottura complessa alla semplice zuppa fino alla mise en place, tutto è essenziale. E ancor prima della cucina ci sono le materie prime: non ho trovato altrove l’attenzione al prodotto che c’è al Palato Italiano. Dai nostri produttori impariamo tanto, innanzitutto cosa fa la differenza nella qualità di una produzione”. Aggiunge la Sempliciano: “Sto vivendo un’esperienza unica, che mi ha offerto momenti di crescita umani e lavorativi importanti. E poi c’è stato l’incontro inaspettato con la pasticceria: la trovo così naif! In cucina i tempi sono dettati in modo diverso, in pasticceria è come se li vivessimo in una dimensione tutta nostra: ci sono attimi che passano al volo e che dobbiamo saper cogliere. Esistono delle regole di base, sì, ma poi c’è tanto spazio per l’ispirazione. Oltre alla pasticceria mi piace anche la panificazione, anzi lì vivo quotidianamente la mia battaglia personale – che a volte mi sembra tanto una battaglia interiore- è il rapporto con il lievito madre, un soggetto difficile da controllare e un po’ anarchico nel quale un po’ mi riconosco”.
La cucina come passione della vita? Sì e le donne non sono seconde a nessuno nemmeno nell’alta ristorazione. Ma per fare il salto di qualità è fondamentale trovare il maestro giusto. Come sempre.