La nuova campagna pubblicitaria di CheBanca!, in onda in questi giorni (guarda il video alla fine dell’articolo), suscita un paio di riflessioni. La prima riguarda proprio il messaggio dell’azienda e quindi il suo posizionamento strategico. La banca diretta del gruppo Mediobanca, infatti, ci aveva abituati a un tono molto pop: spot pubblicitari ispirati ai musical, con balletti, majorettes, canzoni e denaro che volava da tutte le parti. Un linguaggio scelto a ragion veduta – il management proviene dal grande successo di Conto Arancio – con tutta probabilità allo scopo di rivolgersi a un pubblico vasto (il breakeven dell’iniziativa necessita di grandi numeri), poco sensibile a sofisticati ragionamenti finanziari.
Ora, improvvisamente, la sterzata: nella nuova campagna – realizzata dalla nuova agenzia, Dlv Bbdo, che subentra a Casiraghi & Greco – il tono si fa riflessivo e attinge a temi del tutto diversi (la costruzione di un futuro sicuro), interpretati dalla voce calda del doppiatore Luca Ward. Di qui la prima domanda: può una marca, di qualsiasi settore, ma a maggior ragione in un ambito delicato come il risparmio delle famiglie, cambiare così drasticamente il proprio messaggio e ancor più il proprio tono di voce? È come se il nostro vecchio amico buontempone, quello che esordisce sempre con una battuta, suonasse il campanello di casa e, alla nostra prima spiritosaggine pescata dal comune repertorio del liceo, ci rispondesse serio: “Qual è il senso della vita?”. “Ti senti bene?”, gli chiederemmo.
Se il primo punto è tutto interno e riguarda il rapporto fra CheBanca! e la sua audience, il secondo è più importante e chiama in causa il mondo della gestione del risparmio e – per conseguenza – le banche italiane. Ascoltiamo lo spot: “…perché sappiamo che quelli che porti da noi non sono solo i tuoi risparmi, ma … sono la casa con giardino che sogni di comprare per riempirla di fiori e di amici per tutta l’estate, o l’università dei ragazzi”. Sorpresa. Un conto deposito – tipicamente uno strumento di gestione della liquidità – irrompe nella categoria della gestione del risparmio, con argomenti che sono quelli tipici dell’asset management: la valorizzazione di un risparmio di lungo periodo, con finalità quasi previdenziali. La mossa è interessante, specie nel momento in cui è in atto una rimodulazione del welfare, con una diminuzione attesa della previdenza pubblica e la conseguente necessità di aumentare il ricorso a quella privata.
Il tentativo è legittimo. Caso mai, CheBanca! avrà il problema di mantenere la promessa nel futuro, magari in contesti di tassi diversi dall’attuale (con rendimenti al 2% si paga l’università ai figli?), ma – di nuovo – si tratta di un tema “privato”. Quello che oggi colpisce maggiormente è come questo sconfinamento avvenga senza incontrare resistenza: in altre parole, grazie al silenzio totale dei maggiori gestori del risparmio e dei loro azionisti (le banche). D’accordo che il mercato va male, d’accordo che le banche hanno mille problemi, dalla patrimonializzazione ai bond greci, d’accordo che fra quotazioni, fusioni e cessioni annunciate e smentite a più riprese regna la massima incertezza sul destino delle maggiori società italiane di asset management. D’accordo tutto. Ma che un intero settore industriale a dir poco strategico (poiché dovrebbe occuparsi del risparmio e quindi del benessere futuro di alcuni milioni di italiani) non riesca da anni a proferire parola, a indicare una strategia, a educare i risparmiatori a investire indipendentemente dall’andamento delle Borse, insomma a riappropriarsi del proprio ruolo di motore dello sviluppo e del benessere, non può non preoccupare.
Se le banche italiane pensano che la gestione del risparmio non sia importante, che le centinaia di miliardi di euro in gestione (i primi tre gruppi del Paese ne hanno in gestione 450 miliardi, pari al 50% del totale italiano!) siano un inutile fardello, che le promesse di costruire un patrimonio per il futuro investendo saggiamente e anticiclicamente in fondi diversificati per area geografica e asset class siano state uno scherzo, lo dicano. Viceversa, facciano sentire la loro voce, dialoghino con i cittadini-risparmiatori. Sempre, non solo quando c’è un possibile collocamento in Borsa all’orizzonte. Altrimenti la confusione e la sfiducia non potranno che aumentare, a danno di tutti.