Che l’informazione sia un affare?
La società di venture capital Andreessen Horowitz non ne sbaglia una. Il business dove investe funziona e funziona bene. Vedi tra i tanti altri Facebook, Twitter, Pinterest e Airbnb. Ben Horowitz ha scritto anche un libro importante su come costruire un business di questo tipo, The Hard Thing About Hard Things, che è nella rosa dei finalisti del “Financial Times Best Business Book of 2014”.Dopo molti investimenti effettuati in innumerevoli attività iper-innovative, Andreessen Horowitz ha deciso di entrare in un’area depressa, che di più non si può, come quella dell’informazione e delle notizie e, tra le tante e poco entusiasmanti opzioni (tra cui anche grandissime testate), ha investito 50 milioni di dollari in BuzzFeed, tutto sommato un outsider. Lo ha valutato 850 milioni di dollari, una cifra ragionevole per una tech company, ma pur sempre robusta. Una precedente offerta di Disney, rifiutata, aveva messo sul piatto 500 milioni di dollari. Per fare dei paragoni nel “lontano” febbraio del 2011 AOL aveva pagato 315 milioni per “The Huffington Post”; 850 milioni sono poco meno della metà del valore del NYTimes (1,86 miliardi), non distanti da quei 750 milioni di dollari versati da Etihad per il 49% di Alitalia, tecnicamente fallita.Chris Dixon, partner di Andreessen Horowitz che entrerà nel consiglio di amministrazione di BuzzFeed, ha replicato così a chi è rimasto perplesso per una valutazione di BuzzFeed con un multiplo 8,5 sui ricavi (nel 2014, 100 milioni di dollari):Se BuzzFeed è la chiave, come crediamo, per connettere i migliori media talent con cinque miliardi di persone che entro pochi anni navigheranno su Internet via smartphone, allora questa valutazione è un affare.Del resto AOL ha comprato “The Huffington Post” con un multiplo superiore, dieci.David Dinsmore, direttore del “Sun”, ha dichiarato che BuzzFeed è “the best thing on the internet“.Shane Smith, CEO e co-fondatore di VICE un sito concorrente, ha dichiarato che “BuzzFeed can be the next CNN“.
Un buon affare sì, ma zeppo di incognite
Se si dovesse ragionare à la Warren Buffet, si potrebbe commentare che il prezzo è buono, il business si capisce e che le notizie sono e saranno un bene di prima necessità come il dentifricio Colgate. E finirebbe qui. Però Warren Buffet non investe nei giornali generalisti e gli interessano solo le piccole testate locali. Infatti il “Washington Post” lo a ha fatto comprare Jeff Bezos che lo ha pagato meno di un terzo della valutazione di BuzzFeed. A ragione veduta: lo stato dell’industria dell’informazione maggiore somiglia sempre a quello in cui versa il Comune di Detroit che sta valutando di vendere la collezione d’arte della città conservata nel Detroit Institute of Arts (il quinto museo negli USA) per far fronte ai debiti.Una cosa è certa: la stampa com’è stata confezionata e distribuita nell’epoca dei mass media è moribonda. Le tirature dei giornali affondano, i loro siti web faticano, le paywall scricchiolano, nessuno considera più le prime pagine e i lettori, a parte la generazione dei baby boomer, rimbalzano sulla pagina di una notizia da un social media o da un qualsiasi aggregatore. La cosa più grave è che gli investimenti pubblicitari sembrano un episodio di Aspettando Godot mentre in giro ci sono poche volenterose persone disposte a tirar fuori qualche dollaro per pagare le notizie online.Sembra sempre più che l’ancor magmatico business dell’informazione 2.0 sia proprio in mano a chi lo distribuisce e non a chi lo fa. Non è una novità, questa è la tendenza che sembra affermarsi in tutta l’area dei contenuti e dei nuovi media e che ha la sua punta di diamante in Amazon e Netflix.
Che cosa ha di speciale BuzzFeed
A questo proposito potrebbe tornare profetica una delle apparentemente più malriuscite previsioni di Bill Gates che ne ha dette e fatte tanto giuste quanto sbagliate. Nel 1996 ha dichiarato “Il contenuto è il luogo dove ci sarà la maggior parte del denaro prodotto da Internet, così com’è successo con la televisione”.Forse Andreessen e Horowitz avevano in mente queste parole quando hanno firmato l’assegno a Jonah Peretti, l’eccentrico e determinato fondatore di BuzzFeed, ma anche di “The Huffington Post” e “Reblog”. Peretti ha da poco trasferito gli uffici di BuzzFeed a Manhattan al n. 200 della Fifth Avenue su una superficie di 5.360 m2, dove le stanze hanno il nome dei meme più popolari del sito (Surprise Kitten, Grumpy Cat ecc.).Che cosa ha di tanto speciale BuzzFeed? È la risorsa media che meglio corrisponde alla descrizione del business dell’informazione che hanno in mente Marc Andreessen, Ben Horowitz e i partner della società di venture capital.Lo esprime bene il già menzionato Chris Dixon di Andreesse Horowitz:Siamo nel bel mezzo di un cambiamento tecnologico fondamentale nel quale sempre più l’informazione e l’intrattenimento sarà distribuito sui social network e consumato sui dispositivi mobili… Pensiamo che BuzzFeed sia un’impresa tecnologica e anche qualcosa di più. È radicata nella cultura di Internet. Ogni cosa è innanzitutto ottimizzata per il canale mobile e i social media.Oh My God (OMG) l’acronimo formato dai dipendenti di BuzzFeed che si sono disposti a creare il nome di una sezione del sito. OMG è l’abbrevazione usata dalle adolescenti per significare sopresa o disgusto. OMG sta ancher per una cosa idiota da condividere. Spiegato bene qui.BuzzFeed è nato nel 2006 come un laboratorio per spingere la diffusione virale del contenuto e la sua condivisione in rete. Cosa che è riuscita benissimo anche grazie all’avvento del web 2.0. e a un tipo di proposta editoriale stuzzicante nella forma e negli argomenti. Infatti Il posizionamento di BuzzFeed sui social media è eccezionale. Così com’è stupefacente il meccanismo virale che BuzzFeed riesce ad innescare con i suoi post. C’è addirittura uno specifico team composto da 20 persone che si dedica interamente a costruire contenuti per piattaforme social come Tumblr, Instagram, Snapchat che poi rimbalzano su BuzzFeed per moltiplicare il traffico. Non deve quindi stupire il fatto che 75% dei suoi 150 milioni di lettori mensili provengono dai social media in particolare da Facebook, Pinterest e Twitter. Se “The Huiffington Post” ha costruito la sua fortuna sull’eccezionale posizionamento nella ricerca naturale di Google, BuzzFeed ha replicato questa capacità sui social network e sul mobile.
I contenuti di BuzzFeed
Inoltre BuzzFeed è il sito che, con maggiore successo, ha sperimentato e promosso il native advertising, cioè quella pubblicità che è parte integrante, quando non fondante, del contenuto stesso. Questo tipo di pubblicità che si chiama anche “branded content” (come la chiama Peretti), al pari del product placement nel video, ha maggiori possibilità di incontrare il favore degli investitori pubblicitari. Un team di 75 persone, il BuzzFeed Creative, è interamente dedicata a creare video e articoli sponsorizzati per i clienti che li hanno commissionati. Gran parte dei ricavi di BuzzFeed viene dal lavoro di questo staff che nel 2014 gestirà 600-700 programmi di sponsored content inclusi quelli delle 100 più importanti marche americane.Posizionamento eccezionale sui social media, viralità ossessiva e pubblicità nativa sono i tre assi su cui si costruisce il successo di BuzzFeed che però deve moltissimo anche al tipo di contenuto dei suoi 378 post giornalieri.Il contenuto offerto inizialmente da BuzzFeed era stato costruito per lettori estemporanei che arrivavano dai social network, consumavano e tornavano attraverso i social. Ecco il motivo dei meme, dei quiz, delle listicles e dei video demenziali di gatti ed ippopotami. A questo fortunato e anche dileggiato nucleo iniziale di contenuti leggeri e facili (OMG – Oh My God! nello slang dei teenager), il management di BuzzFeed ha via via aggiunto contenuti più “pesanti” come il giornalismo d’inchiesta, i reportage, gli scoop e gli articoli di denuncia per un pubblico di lettori più sofisticato ed esigente. Infatti nel 2012 da “Politico” è arrivato Ben Smith come editor-in-chief con il compito di sviluppare il giornalismo “serio”, senza però snaturare il carattere leggero e popolare del sito. Oggi sono 200 i giornalisti impegnati in questo sforzo. L’operazione è riuscita e sembra proprio che BuzzFeed abbia saputo trovare quel mix giusto di contenuti e di stili che non è riuscito, per esempio, ai grandi giornali in cui i contenuti più leggeri sembrano fuori luogo e artefatti, come se fossero giustapposti a quelli tradizionali.
Quesiti
Concludiamo con un paio di quesiti, in stile BuzzFeed.Perché invece di Andreessen Horowitz non è stata la proprietà del NYTimes a investire in BuzzFeed visto che la grande testata di New York, coma dichiara la stessa redazione interna, mostra una scarsa comprensione nella cultura di Internet infagottata com’è nella sua cultura stampocentrica?Allo stesso modo ci chiediamo, venendo a noi, perché Mondadori, inseguendo le strategie incerte di Condé Nast, ha investito in un e-commerce di Londra specializzato in prodotti di lusso, invece di prendere una partecipazione in un a start-up specializzata in ebook di nuova generazione?Ma questi sono interrogativi che competono agli azionisti di queste grandi e gloriose imprese media che sembrano essersi un po’ smarrite. Speriamo per poco perché c’è bisogno di loro. Purtroppo, come scrive Andrew Edgecliffe Johnson sul “Financial Times”, i grandi media stanno combattendo la battaglia sbagliata.
Pubblicato su ebookextra