Scatta l’ora della Champions League. A meno di due mesi dalla finale di Lisbona, che ha visto il Bayern Monaco battere il Psg e salire sul trono d’Europa, è di nuovo tempo di “musichetta”, seppur in un’atmosfera evidentemente viziata dal Covid. Le difficoltà sono sotto gli di tutti ma l’Uefa, dopo l’esperimento (riuscito) delle Final Eight, vuole provare a tornare alla normalità. Comincia così il lungo cammino che porterà alla finale di Istanbul (29 maggio), una strada che Juventus, Inter, Atalanta e Lazio vogliono provare a percorrere, nel tentativo, difficile ma affascinante, di scrivere nuove pagine di storia calcistica. Oggi tocca a Pirlo (ore 18.55 a Kiev contro la Dinamo) e a Simone Inzaghi (21, all’Olimpico contro il Borussia Dortmund), domani a Conte (Borussia Mönchengladbach) e Gasperini (in Danimarca contro il Midtjylland). Ne parliamo con Roberto Beccantini, firma storica de “La Stampa” ed ex giurato italiano per il pallone d’oro, uno che certe notti europee, evidentemente, le conosce molto bene.
Partiamo subito con la domanda che si pongono tutti: riuscirà una squadra italiana a strappare lo scettro al Bayern?
«Non si può non ricordare come la pandemia stia condizionando anche il calcio. In Italia e all’estero. Tutto, calendari e formule compresi, è legato alla “lotteria” dei contagiati: i riscontri tecnici potrebbero risentirne. Ciò premesso, ho più di un dubbio che le italiane riescano a scalzare il Bayern. La Juventus di Pirlo è ancora un cantiere, l’Inter di Conte deve trovare un accettabile equilibrio, la Lazio di Inzaghino mi pare rimasta al dopo lockdown. Resta l’Atalanta: vero, a Napoli ha perso di brutto ma se recupera il vero Ilicic proprio la Dea potrebbe essere la squadra più attrezzata. Mai dimenticare che, nell’ultima edizione, perse con il Paris Saint-Germain, poi finalista, solo agli sgoccioli degli sgoccioli».
Andiamo più nello specifico: come vede la Juventus di Pirlo? Pensa che sarà l’anno buono per coronare il sogno europeo?
«Fatta adesso, questa domanda sembra una provocazione. Dopo Allegri e Sarri, Andrea è il terzo allenatore in tre anni. Dall’estate del 2018, quando scattò l’operazione Cristiano, la strategia di Agnelli non mi è chiara. Colpa mia, per carità. Fra Covid, nazionali e infortunati, Pirlo e la Juventus hanno bisogno di quella virtù che, da sempre, a Torino coltivano con fastidio: la pazienza. La cosa buffa, a margine, è il nostro rapporto con i giovani. Non li facciamo giocare, giù botte. Pirlo li fa giocare (Frabotta, Portanova) e non vince, giù botte. Le rivoluzioni – e questa, di svecchiare la rosa, a suo modo lo è – costano: solo che noi italiani vorremmo farle senza sporcarci nemmeno il bavero dell’impermeabile. Mitici. Nella mia griglia d’agosto la Juventus (di Pirlo) figurava al primo posto. Resisto, anche se noto molta effervescenza fra Milan e Napoli. Quanto all’Europa, la vedo oggettivamente dura».
Dove colloca l’Inter di Conte nella griglia di partenza della Champions? E come si spiega le difficoltà di quest’inizio di campionato?
«Il secondo posto in Europa League non va disprezzato. Può costituire una stimolante rampa di (ri)lancio. Collocarla in assoluto, è difficile. Il Bayern ha la pancia piena, il Liverpool ha perso van Dijk, il Barcellona ha perso i gol di Suarez, il Real è rimasto tale quale, il Paris Saint-Germain è stato mollato da Thiago Silva, il Manchester City è sempre quello, l’Atletico potrà giovarsi delle cartucce del Pistolero. Sulla carta, restano più forti dell’Inter. Il cui problema, mi pare, è l’equilibrio: in parte, dettato dalla difesa decimata; e, in parte, da una smania offensiva che lo stesso Conte ha dichiarato pubblicamente di voler cavalcare. Lui che, in carriera, ha chiuso spesso con la miglior difesa».
Poi c’è l’Atalanta di Gasperini: può ripetere l’exploit della scorsa stagione?
«Della Dea mi ero già dilungato nella risposta alla prima domanda. Con l’Ilic di Valencia – o comunque della stagione pre-interruzione – sì».
La Lazio sin qui ha palesato enormi difficoltà: l’esordio con il Borussia Dortmund può essere un’occasione di rilancio o la mazzata definitiva per il ciclo Inzaghi?
«Di definitivo, a ottobre, non c’è nulla. Dunque, nemmeno le conseguenze (eventuali) di un’altra mazzata. Però, è chiaro, Simone deve recuperare il centro del villaggio. La Champions non è “scaricabile” come l’Europa League. Rosa e turnover si riveleranno cruciali. E l’organico non è che sia molto profondo».
Usciamo dal discorso Champions: Milan e Napoli stanno andando molto forte. Possono competere anche loro per lo scudetto?
«L’effetto Ibra, il recupero del miglior Lozano e i muscoli di Bakayoko, Osimhen e Koulibaly – nel contesto, ripeto, di una stagione atipica per i motivi che sappiamo – li portano ad alzare l’asticella delle ambizioni. In sede di pronostico, le avevo collocate così: 1) Juventus, 2) Inter, 3) Atalanta, 4) Milan, 5) Napoli, 6) Roma, 7) Lazio. Dai risultati di quattro giornate puoi ricavare tracce, non sentenze. Tracce, al limite, diverse da quelle che ti saresti aspettato. A mio avviso, nel rinunciare alla trasferta di Torino, il Napoli ha commesso un clamoroso autogol: era proprio questo il periodo per misurarsi con la Juventus. Il periodo in cui è tutto un lavoro in corso. Capisco l’arrabbiatura di Gattuso».
Infine una domanda sul campionato in tempo di Covid: si riuscirà ad arrivare in fondo con questo protocollo o sarà necessario ricorrere a una formula alternativa con playoff e playout?
«Chi può dire se si arriverà o non arriverà fino in fondo? C’è chi con due contagiati non ha giocato, e chi con sei o sette è sceso in campo, comunque; il precedente della Asl campana è un insidioso “liberi tutti”, a maggior ragione se in appello lo 0-3 a tavolino e il punto di handicap venissero cancellati. Gravina pensa ai playoff e ai playout, ma su quante partite, una sola o due? E se la situazione esplodesse di nuovo, come reagirebbero le società più colpite rispetto alle altre? L’importante è seguire le dritte del Cts e adeguarvi i protocolli».