Luigi Lucchini “fu un uomo onesto, un grande industriale”. Lo ha ricordato così l’ex amministratore delegato della Fiat, Cesare Romiti, nel corso della presentazione alla Sapienza di Roma di un libro su questo grande industriale, scritto da Ugo Calzoni, che fu il suo braccio destro, e anche sinistro, e Franco Locatelli, un giornalista di grande spessore.
Lucchini per tutti adesso è il nome di uno stabilimento siderurgico di Piombino, una cittadina in Toscana, che se la passa male, va verso la chiusura definitiva lasciando mille e cinquecento operai a terra. Ma è anche il nome di un grande industriale che nella seconda metà del secolo scorso fu capace, partendo dal nulla, di creare un grande impero. Era figlio di un artigiano che aveva una piccolissima fonderia, dopo la guerra si mise in giro in bicicletta per la sua provincia, Brescia, cominciò a comprare rottami di ferro, e ce n’erano tanti dopo le distruzioni della guerra, e con quelli avviò la sua azienda siderurgica.
Ebbe un grande successo, divenne industriale di punta, negli anni ottanta fu anche presidente di Confindustria. Ugo Calzoni, che era il suo braccio destro, e Franco Locatelli, un giornalista capace, di quelli di cui si è perso lo stampo, hanno scritto un libro per raccontarne la storia. “Imperi senza dinastie”, questo il titolo, edito dalla Compagnia della stampa Massetti Rodella Editori. Un libro scomodo, soprattutto per la Brescia che racconta, tanto è vero che l’editore, bresciano, ha faticato non poco per contrastare le spinte, fortissime, di coloro che in città non volevano si pubblicasse.
Ed è un bene che l’editore abbia resistito, perché il libro, come è venuto fuori in grande evidenza nel corso della presentazione che ha avuto luogo oggi alla Sapienza di Roma, per iniziativa dell’unità di Ricerca “Lavoro e Organizzazioni” di Mimmo Carrieri, è una vera sorpresa. Perché racconta una fetta della nostra storia che non deve essere dimenticata, perché parla di uno di quei grandi uomini che ha fatto grande l’Italia, e che adesso non ci sono più, perché rilancia l’industrialismo in un’epoca in cui colpevolmente di industria si parla in termini spregiativi, le poche volte che se ne parla.
E soprattutto è un libro importante perché ci parla di Luigi Lucchini. Cesare Romiti, per tanti anni amministratore delegato Fiat, che con la sua presenza ha voluto impreziosire la presentazione del libro, lo ricorda con affetto e grande stima. “Gli ero molto legato, ha raccontato, era un vero amico. Per lui ho affetto e riconoscenza. Non dimenticherò mai il suo comportamento nel 1979-80, quando ci fu la grande battaglia sindacale alla Fiat culminata con la marcia dei 40mila: la Confindustria non volle darci nessun appoggio, molti pensavano che portavamo avanti un’azione irragionevole, che avrebbe portato danni a tutti. Lui fu uno dei pochi che ci difesero, e lo fece perché, a differenza della Confindustria di allora, capì che facevamo quella battaglia non solo per noi. Era un vero industriale, nell’animo e nello spirito. Non era fazioso, mai, nemmeno nelle lotte sindacali. Aveva qualità che oggi non esistono più, si sono perse. Oggi il paese è diverso, non c’è più quello spirito innovatore, quella voglia di fare che ci caratterizzava”.
Proprio il paragone tra quegli anni e l’oggi colpisce in maniere molto forte Romiti. “Noi in quegli anni lontani avevamo una gran voglia di fare, ha ricordato, perché sapevamo che ne valeva la pena. Non c’era solo Lucchini, erano tanti e, aiutati dal contesto, hanno fatto grandi cose per il nostro paese. Oggi i giovani sono diversi, non sono mai entusiasti, pensano solo ai soldi: anche noi ci pensavamo, perché non ne avevamo, a volte facevamo anche un po’ la fame, ma non erano i soldi il nostro obiettivo, pensavamo ad altro, a fare, a costruire qualcosa di duraturo. I giovani forse dovrebbero essere rieducati, ma nessuno lo fa, nemmeno l’università li aiuta. Eppure singolarmente anche i giovani di oggi sono diversi. Li vedo quando vengono da me, mi chiedono, sono curiosi di quello che facevo allora, hanno voglia di sapere, dovremmo proprio fare qualcosa di più per loro”.
E tutti, a partire da Romiti, ma non solo lui, hanno tessuto grandi lodi di Lucchini. “Un grande uomo, onesto, ha detto Romiti, non avrebbe mai fatto una porcata”. Ernesto Auci, che fu accanto a Lucchini quando era presidente di Confindustria come direttore delle relazioni esterne, ha ripercorso quegli anni, ricordando come si tentò di costruire una Confindustria diversa, faecendo un salto culturale rispetto al passato. Giorgio Benvenuto ha ricordato gli anni della contrapposizione, ma ha riconosciuto come da parte di Lucchini non ci sia mai stata un’azione scorretta, come non abbia mai nemmeno provato a dividere il sindacato. Giorgio Sapelli ha ricordato le grandi capacità imprenditoriali di Lucchini, rimproverandogli solo la subalternità che visse quando, dopo l’esperienza in Confindustria, si occupò di finanza in Mediobanca. “Bazoli, ha commentato lapidariamente, lo mise sotto e fu un peccato”.
Io ricordo bene quegli anni, da cronista de Il Sole 24 ore seguivo le relazioni industriali, quindi la Confindustria e non posso scordare la forza di Lucchini, ma ancor più la sua tranquillità, pur nei momenti di maggior tensione. Considerando che Lucchini fu presidente dal 1984 al 1988 è facile capire le battaglie che dovette sostenere, il lungo duello con i sindacati per la scala mobile, le divisioni che si crearono nel mondo sindacale, ma soprattutto politico. Anni difficili, segnati dal terrorismo. E lui passava tranquillo per tutte queste evenienze, calmo, senza perdere mai la calma.
Aveva costruito in Confindustria una grande squadra, come non c’è mai più stata, e con quella andava avanti. La sua presidenza venne dopo quella di Merloni: questi aveva operato una vera cesura rispetto alla politica confindustriale del passato, facendo riacquistare alla confederazione il prestigio che era uscito abbastanza sgualcito dagli anni settanta. Il rapporto con il sindacato era il centro dell’azione di Confindustria e Lucchini, che quando era presidente dell’Associazione degli industriali di Brescia aveva vissuto un periodo molto turbolento, aveva nomea di essere un duro. Si temeva quindi un inasprimento delle relazioni sindacali. E invece fu proprio il contrario, Lucchini seppe guidare con grande maestria la confederazione, i rapporti si fecero più distesi, pur nelle bufere, senza perdere mai la calma, fu un punto di riferimento per tutti.
Purtroppo gli ultimi anni di questo impero senza dinastia non furono tranquilli, le difficoltà economiche divennero sempre più forti e il gruppo senza la sua guida si sfaldò. Colpa del passaggio generazionale? Non solo, come è emerso dalla ricostruzione di quegli anni e come il libro racconta. Ma il ricordo di quell’uomo non è stato scalfito. Resta sempre un grande industriale, che seppe essere un grande costruttore. Uno di quegli uomini di cui oggi avremmo tanto bisogno.