“E’ stata fatta l’Europa, ora bisogna fare gli europei”. Nouriel Roubini sbarca a Cernobbio al consueto appuntamento annuale del gotha dell’economia mondiale organizzato da The European House – Ambrosetti e veste i panni del Garibaldi continentale. Mettendo subito in guardia la nutrita platea: “L’operazione della Bce di ieri va nella direzione giusta, ma non è detto che basti”.
Già, perché secondo l’economista della New York University, nonostante le risposte positive all’azione di Draghi da parte dei mercati e degli spread, non è ancora il momento di cantare vittoria. “Non sono pessimista, ma realista: negli ultimi mesi i capi di Stato europei hanno finalmente capito la strada da seguire, che è quella di un’effettiva unione finanziaria e bancaria, ma il vero problema è la mancanza di una leadership politica che legittimi il tutto e metta tutti d’accordo. Basti pensare che all’interne delle stesse coalizioni di governo dei singoli Paesi, ci sono ancora dei forti disaccordi su come procedere. Questo accade in Grecia, in Italia, ma anche in Germania”.
Ecco dunque l’intuizione garibaldina: “La questione pertanto è innanzitutto politica e prima ancora culturale: l’unione c’è, ma non c’è lo spirito europeo. Occorre al più presto un cambio di mentalità, che porti effettivamente i singoli Paesi, che per il vero piano piano lo stanno già capendo, a rinunciare gradualmente alla propria sovranità per dare respiro a una vera unione politica, e di conseguenza finanziaria e bancaria”.
All’interno di questo vuoto politico si è però inserita, risolutamente e costruttivamente, la Banca centrale europea: “E’ uno degli aspetti positivi, il suo ruolo è sempre più determinante ma non c’è solo Mario Draghi nella Bce: c’è anche la Bundesbank e altre forze che sono ancora scettiche”. Intanto però lo scudo anti-spread è stato approvato: “Bene, ma chi ci garantisce che la banca europea sarà in grado a lungo termine di acquistare titoli di Stato di Paesi che presentano fondamentali economici disastrosi?”.
Il pensiero di Roubini va all’Italia, ma soprattutto alla Spagna: “Occorre fare un distinguo fra i due casi: la Spagna è decisamente messa peggio, l’Italia sta facendo un ottimo lavoro e non credo che a breve avrà bisogno degli aiuti europei. Quando finalmente i mercati capiranno questo, tutto sarà più semplice per Mario Monti”. Già, perché l’analista nato a Istanbul 54 anni fa da una famiglia di ebrei iraniani, riconosce tutti i meriti del caso all’operato dell’attuale governo. “Come al solito quando parlo dell’Italia ho sempre da rilevare luci e ombre. Con l’attuale esecutivo però prevalgono le luci: Monti ha una leaderhsip forte e i suoi ministri sono esperti e competenti. Il governo sa esattamente che cosa deve fare, diciamo che avrebbe potuto fare di più, ma nel contesto di instabilità politica in cui opera non era facile”. Instabilità politica che rischia di aumentare in vista delle prossime elezioni, che potrebbero mandare al governo un esecutivo diverso e non in grado di portare avanti le riforme avviate da Monti.
“In realtà non vedo questo pericolo – confessa Roubini -, in Italia attualmente non c’è grande alternativa al montismo: prevedo una grande coalizione che porti avanti la linea di austerità e riforme strutturali dell’attuale esecutivo oppure un governo di centro-sinistra, che di sicuro è il più indicato per una soluzione di continuità, magari portando nella squadra di governo qualche tecnico già al lavoro con Monti”. Roubini dunque boccia Berlusconi, il cui ritorno in campo secondo l’economista non sposterà gli equilibri: “Berlusconi è tornato per salvare il Pdl, non per vincere. Non credo ci siano i margini per un nuovo governo di centrodestra, che comunque non sarebbe auspicabile perché storicamente chi porta avanti le riforme sono le maggioranze di centro-sinistra”.
Non mancano però i pericoli in agguato: “Come dicevo, ci sono anche delle ombre: la crisi in Italia è ancora profondissima, e nonostante la direzione intrapresa sia quella giusta, la ripresa è al momento lontana. Questo comporta il rischio del proliferare delle forze euroscettiche, come la Lega Nord o il Movimento 5 Stelle, o anche alcune aree dello stesso centrodestra, che potrebbero far saltare tutto per aria”.
Ma la vera tempesta, quella “perfetta” secondo Roubini, non la farebbero di certo esplodere Grillo o Maroni, ma cinque fattori su scala mondiale che se emergessero con forza tutti quanti insieme (“evento improbabile ma non impossibile”) causerebbero nel 2013 il crollo dell’economia globale. Il primo è ovviamente la crisi dell’Europa, aggrappata per ora a Draghi ma ancora di più a un processo politico da chiudere al più presto; poi gli Usa, “la cui crescita è troppo debole a causa delll’onere fiscale, che va ridotto di oltre 1 punto percentuale per evitare la contrazione economica”; la Cina, che ha “un modello di crescita insostenibile: se non stimola rapidamente i consumi interni, riducendo il risparmio e incrementando i redditi delle famiglie, salta tutto”; gli altri Paesi emergenti che vivono una fase di rallentamento “che è ciclica ma anche struttuale: le loro economie si sono erroneamente orientate verso un capitalismo di Stato troppo spinto, soprattutto in Russia e in Brasile”; e infine l’incombente rischio di un conflitto in Medio Oriente, che porterebbe ovvie e pesanti conseguenze sul mercato del petrolio e delle materie prime.
La tempesta perfetta non ci sarà ancora, ma come fa notare lo stesso Roubini, i cinque elementi, anche se in dosi ancora accettabili e per ora slegati gli uni dagli altri, ci sono già tutti.