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Censis: sanità più costosa e meno equa

Pubblicato il Rapporto 2012 della Fondazione Farmafactoring, realizzato in collaborazione con Cergas-Bocconi e Censis sul sistema sanitario – I maggiori deterioramenti nelle regioni con piano di rientro – Per i cittadini le manovre del governo sono “inefficaci e ingiuste”.

Censis: sanità più costosa e meno equa

La qualità del servizio sanitario nazionale si sta deteriorando, per via delle politiche di riequilibrio del bilancio pubblico (si scrive così, ma si legge tagli), e questo, probabilmente lo si sapeva già, ma la vera novità è che in Italia esistono due servizi sanitari pubblici differenti, quello delle regioni con piano di rientro (RPR), soggette a piani di ristrutturazione più rigidi, e quello delle altre regioni (AR). Il deterioramento procede in un’unica direzione, ma a velocità diversissime.

Questo almeno è quanto emerge dal Rapporto 2012 della Fondazione Farmafactoring, realizzato in collaborazione con Cergas-Bocconi e Censis.

Il quadro, già di per sè poco lusinghiero, infatti si divide assai nettamente in queste due macroregioni, rivelando, così, come i tagli stiano ottenendo, come effetto primario, quello di intervenire negative su una delle caratteristiche fondamentali del servizio sanitario pubblico, e cioè il suo universalismo, che viene progressivamente a mancare, sostituito da una sperequazione sociale e regionale sempre più larga.

Il “rattrappimento”, percepito e reale, della copertura pubblica infatti, procede in maniera del tutto sbilenca, con percentuali di pessimismo registrate notevolmente più alte nelle RPR, dove il 37,6% degli intervistati prevede un peggioramento della sanità nei prossimi 5 anni, rispetto alle AR (29,5%), così come molto diverso è il gradimento sulla qualità del servizio attuale: 6,1 (su 10) nelle RPR contro 7,3 nelle AR. 

Una sanità che, in sintesi, viene percepita come non sostenibile, nè tantomeno equa, e che aumenta nei suoi utenti la volonta di fuga dalla propria sanità regionale( il 14,4% è ricorso al serivzio di un’altra regione, e il 48,45 lo farebbe, se gli capitasse) e il ricorso alla sanità privata (oltre il 38% dei cittadini, nel 61,9% dei casi per evitare i tempi troppo lunghi della sanità pubblica) ritenuta di qualità superiore (8,1 il voto medio), ma troppo costose dal 55% degli intervistati.

Discorso del tutto simile vale per le prestazioni intramoenia, quelle prestazioni erogate dai medici di un’ospedale, all’interno dell’ospedale stesso, ma al di fuori dei normali orari di lavoro, dietro pagamento di una tariffa regolarmente (?) fatturata, a cui sono ricorsi il 10,3% degli intervistati, anche in questo caso per svicolare dai tempi d’attesa della sanità pubblica. 

Il numero di italiani che hanno acquistato prestazioni mediche tramite il web si attesta, invece, intorno al milione. Particolarmente popolari, online, le prestazioni degli odontoiatri. Rimane alta, però, la percentuale di italiani che diffidano di acquisati di questo genere in rete.

Oltre il 58% degli italiani dichiara inoltre di aver registrato un aumento delle spese di tasca propria, soprattutto per quanto riguarda i farmaci col ticket (65,1%). Il ticket per l’accesso alle prestazioni sanitarie diventa così una voce di spesa significativa e rischia sempre più di subire, nella percezione diffusa, una trasformazione da strumento di moderazione dei consumi sanitari a modo più facile per trasferire crescenti costi della sanità dal pubblico alla famiglia. Anche per quanto riguarda le spese, gli aumenti maggiori si registrano nelle RPR.

Molto duro è anche il giudizio dei cittadini sulle politiche sanitarie portate avanti in questi anni, soprattutto quelle di finanza pubblica, riassumibili in un giudizio semplice e conciso, nella sua crudezza, “inefficaci e ingiuste”. Gli esiti reali di queste manovre, infatti, per i cittadini sono molto diversi rispetto alle intenzione dei governi, mentre per il 77,4% degli intervistati si sarebbe dovuto tagliare altrove e il 71% pensa che l’esito effettivo delle manovre sia quello di accentuare le diseguaglianze nella tutela.

La via migliore per ottenere una sanità più sostenibile pare solo un’altra faccia dello sterminato poliedro dell’esasperazione dei cittadini nei confronti dei partiti. Per il 40% degli intervistati, infatti, la panacea ai mali del servizio sanitario nazionale sarebbe quella di cambiarne i vertici, depoliticizzando le nomine, per intervenire direttamente sugli sprechi e non, come avviene ora, sui servizi.

La coperta della sanità italiana, quindi, si fa sempre più corta, e anche asimmetrica, sghemba, meno bastevole ad avvolgere un corpo, quello dei cittadini italiani, che, a ragione, si percepisce via via meno sicuro e tutelato.

 

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