Pare che la proposta di trasferire i crediti incagliati ed in sofferenza aduna Bad Bank abbia ottenuto il via libera da parte della Commissione Ue, a patto che si rispettino le regole di mercato. Il procedimento prende il nome di cartolarizzazione: in sostanza i crediti vengono ceduti agli eventuali acquirenti ovviamente a prezzi che garantiscano loro anche un certo profitto.
Leggendo le cronache dell’operazione mi è tornata in mente un’esperienza, a cui ho preso parte nel ruolo allora ricoperto di presidente del Collegio dei Sindaci dell’Inps: l’affaire cartolarizzazione dei crediti contributivi agricoli (per un ammontare di 5,9 miliardi di euro).
La vicenda ebbe inizio l’8 novembre 2006 durante la riunione settimanale del Consiglio di amministrazione dell’Inps, quando la Direzione generale presentò un documento contenente un vero e proprio miracolo di ingegneria finanziaria in grado, a parole, di promuovere una sanatoria per i crediti agricoli cartolarizzati e in sofferenza, di bonificare le irregolarità del settore e di recuperare quanto più possibile per le casse dell’Inps.
Deutsche Bank e Unicredit – spiegarono i dirigenti preposti – avevano sottoscritto il 13 ottobre un accordo preliminare con la Scci spa (la società titolare delle cartolarizzazioni, in pratica una scatola vuota), con il quale i due istituti si dichiaravano disposti all’acquisto dei crediti agricoli per procedere successivamente alla loro “ristrutturazione tramite la conclusione di accordi transattivi” grazie ai quali i debitori avrebbero avuta la possibilità di estinguere le loro obbligazioni mediante il pagamento in un’unica soluzione (nel qual caso sarebbe bastato versare una quota tra il 22% e il 30% del dovuto a seconda del numero di adesioni all’offerta) o sulla base di rate trimestrali (in un range tra il 29% e il 39,8% del dovuto).
Sempre in quell’occasione, vennero fornite alcune anticipazioni di una fairness opinion della Kpmg (che pervenne poi il mese successivo) da cui sarebbe risultata la convenienza dell’operazione. Bastava solo che il CdA dell’Inps decidesse di sottoscrivere l’accordo e il gioco era fatto. La decisione, però, fu rinviata in attesa dei necessari approfondimenti.
Ben presto, infatti, si comprese che si trattava di un condono mascherato, privo di copertura finanziaria e normativa. Così, pochi giorni, dopo il Collegio dei Sindaci inviò una nota ai Ministeri vigilanti(Lavoro ed Economia) per informarli dell’iniziativa e per metterne inevidenza – al di là dei discutibili aspetti legati alla convenienza economica – il punto debole: come saranno state calcolate ed erogate le prestazioni a fronte di un abbattimento della contribuzione relativa?
Inoltre, secondo il Collegio, non poteva essere sufficiente un accordo transattivo privato a regolare una materia per sua natura inderogabile e indisponibile, come quella di carattere previdenziale. In assenza di una norma, l’Inps rischiava di dover pagare prestazioni intere a fronte di versamenti ridotti ad un terzo.
L’obiezione si rivelò insuperabile, tanto che nell’ultima riunione del 2006 il Cda votò una delibera con la quale subordinava la sottoscrizione della convenzione ad un’esplicita autorizzazione dei Ministeri vigilanti. Intanto, cominciarono le pressioni politiche da parte del ministri del Governo Prodi (titolare delle Risorse agricole era Paolo De Castro), perché fosse consentita quell’operazione di ristrutturazione dei crediti agricoli senza prendersi la briga di un impraticabile condono, a cui il Parlamento (e l’opinione pubblica) sarebbe stato ostile.
Salvo rare eccezioni, l’opposizione (a partire dall’ex ministro Gianni Alemanno) lasciò fare, in silenzio. Il compito di esprimere un parere sulla vicenda viene affidato alle Direzioni generali competenti dei ministeri vigilanti. Così due onesti funzionari, l’8 gennaio2007 sottoscrissero un verbale di sostanziale conferma delle riserve del Collegio.
Tale posizione finì per condizionare anche le risposte dei Capi di Gabinetto alla richiesta dell’Inps. Ma la politica, sotto la pressione della lobby agricola, non si arrese. Così, il successivo 2 febbraio i ministri Cesare Damiano e il compianto Tommaso Padoa Schioppa, rispettivamente del Lavoro e dell’Economia, emisero – nero su bianco – una direttiva a firma congiunta che non lasciava margini di sorta: l’Inps doveva aderire se non voleva subire un commissariamento ad acta.
La minaccia era velata, scritta in un garbato linguaggio burocratico, ma chiara. Così, per la sanatoria dei crediti agricoli arrivò il momento della verità: il 7 febbraio 2007il Consiglio di amministrazione dell’Inps (nominato dal precedente Governo di centrodestra) preferì rischiare di dover rispondere di responsabilità patrimoniale (il Collegio dei Sindaci dell’Ente segnalò il caso alla Procura della Corte dei Conti) pur di assecondare l’ Esecutivo.
La linea vincente fu quella sostenuta dal Dipartimento del Tesoro (a cui era contraria la Ragioneria Generale), secondo la quale l’operazione-sanatoria sarebbe stata coerente con quella avviata dalle cartolarizzazioni, le quali (essendo, secondo il Tesoro, pro soluto e non pro solvendo) avrebbero implicato, di per sé, pure una sanatoria contributiva.
Una tesi, questa, non solo pericolosa per la finanza pubblica (perché rischiava di gettare, se accolta, un’ombra di illegittimità su tutte le cartolarizzazioni dei crediti Inps),ma neppure condivisa dal Collegio dei Sindaci. Secondo l’organo di controllo la finalità, dissimulata ma vera, delle cartolarizzazioni era quella di quotare sui mercati finanziari – a fronte di una consistente anticipazione da parte degli Istituti di credito coinvolti – un ammontare di crediti contributivi selezionati sulla base del loro tasso d’esigibilità.
Ma, in realtà, l’operazione aveva un altro obiettivo: il Governo, che a parole aveva preteso di imprimere, nella legge finanziaria, una stretta sulle evasioni in agricoltura, stabilendo che solo il rilascio dei DURC (i documenti che attestano la regolarità contributiva) potevano dare diritto all’accesso ai finanziamenti comunitari (nel complesso 8 miliardi di euro),si era accorto che il settore non era in grado di mettersi in regola senza un colpo di spugna sui debiti contributivi pregressi.
Così l’esecutivo, alla chetichella, aveva proceduto a sanare la posizione degli evasori, senza passare dal Parlamento, ma affidandosi ad alcune banche amiche, per individuare le quali non è stata fatta alcuna gara. Sarebbero state Deutsche Bank ed Unicredit a ricavare i maggiori utili dall’operazione. Il bello è che 4 miliardi dei 6 miliardi di crediti Inps, coinvolti dall’operazione, riguardavano le aziende c.d. capitalistiche.
Si spiegavano così gli elogi che la grande stampa riservò al Governo e al ministro De Castro. Si spiegava meno il silenzio del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps (dove stanno i rappresentanti delle forze sociali),che ignorò a bella posta l’intera vicenda. Ovviamente, le cartolarizzazioni di cui si parla oggi riguardano altre materie e modalità. Ma si può escludere che le finalità non siano più o meno le medesime?