In un mio intervento precedente su FIRSTonline del 3 novembre scorso (“Consolidare il debito pubblico? No grazie”), ho ripercorso il viale delle rimembranze per sostenere la inopportunità di adottare politiche per la gestione amministrativa del debito pubblico al fine di allungarne le scadenze e per ridurre l’onere per interessi passivi che grava sul bilancio pubblico italiano(nel 2010, 4,5% del pil in Italia, 2,4% in Germania, 2,5% in Francia, 2,4% nell’area euro esclusa l’Italia, così come nell’area UE sempre esclusa l’Italia).
Lo stesso viale delle rimembranze può essere di nuovo imboccato (senza spingerci fino al 1926 anno del consolidamento del debito pubblico) per riscoprire spunti e suggerimenti che, opportunamente adattati ai problemi di oggi, consentano ancora una volta di non avventurarci lungo la via della gestione amministrativa del debito pubblico, ma avendo invece come unico obiettivo quello di riportare lo spread dei nostri Btp decennali con il Bund tedesco sotto la soglia dei cinquanta punti base (come è stato tra il novembre del 1997 e il luglio del 2008, anno in cui il debito pubblico cominciò a salire dal 103% dell’anno precedente al 120 % di oggi) Valore dello spread che, come per il passato, porrebbe il debito pubblico italiano nella zona della sicurezza agli occhi dei mercati finanziari internazionali.
Al pari di oggi, gli anni 1992 e 1993 mostrano che appena qualche momento prima del precipizio i governi in carica sanno adottare le misure straordinarie atte a evitare di sprofondare nel burrone. Sul viale delle rimembranze si incontrano così provvedimenti efficaci, che evitarono il burrone, del tipo che oggi, opportunamente adattati al presente, potrebbero essere riproposti. Si pensi a:
a) la fiscalizzazione degli oneri sociali (nel 2010 pari al 14% del pil in Italia, 17% in Germania, 18% in Francia, 16 % nell’area euro esclusa l’Italia, 14% nell’intera area UE esclusa l’Italia) per ridurre il costo del lavoro e ridare slancio alle esportazioni e con esse alla crescita del Pil. Oggi si potrebbe adottare una tale misura senza oneri per il bilancio pubblico finanziando la riduzione del costo del lavoro con tutto il gettito proveniente dalla reintroduzione dell’Ici sulla prima casa (abbandonando l’ipotesi suggestiva della patrimoniale per la quale non disponiamo degli strumenti amministrativi che ne evitino il fiasco) accompagnata da un nuovo aumento dell’IVA. Come noto essendo l’Iva rimborsata alle esportazioni una siffatta manovra equivale ad una svalutazione reale. Gli effetti sui prezzi al consumo dell’inasprimento dell’Iva è ragionevole che siano compensati dal minor costo del lavoro e resi più difficili da trasferire sui prezzi dalla domanda stagnante;
b) la trasformazione di allora (1992) con decreto legge degli enti pubblici economici insieme all’accordo Andreatta Van Miert (1993) sui debiti dell’IRI spa, suggeriscono che provvedimenti analoghi possono essere estesi al caso delle società partecipate dagli enti locali per ridurre il debito delle amministrazioni locali (circa il 6% del debito lordo delle amministrazioni pubbliche equivalente al 7% del pil). Si tratta di rendere le società partecipate dalle amministrazionilocali soggette al vincolo di bilancio, che oggi si è dissolto per il fatto che l’ente pubblico costituisce il garante debitore di ultima istanza e dunque consente alla pletora di amministratori che siedono nei CDA, ogni tipo di azzardo morale. In analogia con il passato, i passi da adottare per decreto legge potrebbero essere i seguenti: 1) divieto di costituire nuove spa partecipate dagli enti locali e obbligo per gli enti locali stessi che detengono partecipazioni societarie (Regioni Provincie e Comuni, Camere di commercio ecc. ) di conferire ad una apposita holding spa (con non più di tre amministratori) le azioni detenute nelle società partecipate ed i relativi debiti posti a carico dell’ente conferente, il quale dovrebbe trattenere non più del 5% del capitale della società holding per non risultare, ai sensi del codice civile, l’azionista illimitatamente responsabile dei debiti della holding stessa. Il numero dei consiglieri delle società partecipate dalle holding dovrebbe essere ridotto a tre componenti anche per ridurre gli inutili costi della politica; 2) le società holding (al pari dell’IRI degli anni novanta) dovranno dismettere le partecipazioni possedute per pagare l’eventuale indebitamento delle società partecipate e posto a loro carico. Al termine del processo la società holding dovrebbe essere posta in liquidazione (come la vecchia Iri spa) e il ricavato, pagati i debiti, trasferito all’ente locale conferente con riduzione del patto di stabilità dell’ente locale medesimo;
c) cherchez l’argent. Come ci hanno insegnato nei primi anni novanta dell’altro secolo i giudici Falcone e Borsellino, invece che inseguire il singolo malfattore è meglio inseguirei soldi che portano al malfattore stesso. Analogamente è più semplice cercare negli intermediari finanziari di ogni tipo i fondi dell’evasore che portano allo stesso. L’industria bancaria e finanziaria opera su piattaforme tecnologiche che collegano in tempo reale tutti gli istituti. Sarebbe sufficiente comunicare alla Agenzia delle entrate i movimenti medi mensili di ogni cliente operati negli ultimi due anni (o altro indicatore al’’uopo costruito) per verificare la congruità dei movimenti con i redditi denunciati dal cliente. Resterebbero non comunicati i conti detenuti all’estero ma il rientro dei capitali dalla Svizzera dovrebbe beneficiare di accordi quali quelli stipulati tra la Svizzera e altri paesi più attenti al contenimento dell’evasione fiscale;
d) infine, proseguendo nello spirito dei provvedimenti dei governi dei primi anni novanta che riguardarono le pensioni pare oggi ragionevole rinunciare alle pensioni di anzianità con benefici effetti sulla finanza pubblica. Molti lo hanno già proposto e mal si comprendono le opposizioni.
Come risulta dall’avere ripercorso il viale delle rimembranze, il controllo del debito pubblico non è mai stato un problema tecnico, ma squisitamente politico e manco richiederebbe l’umiliante commissariamento dell’Italia da parte di “stendardi nemici” che, come è giusto che sia, fanno i loro interessi in assenza di una politica comunitaria.