Ricordo che quando ricevetti il libro “Un economista ecletticodi Quadrio Curzio e della Rotondi – me ne aveva fatto cenno qualche tempo prima Luigi Pasinetti all’assemblea di Bankitalia di quest’anno – avevo appena consegnato all’editore della rivista “Moneta e Credito” uno scritto per ricordare Luigi Spaventa alla presidenza della Consob negli anni in cui io stesso ero stato Commissario. Non a caso lo rammento, poiché in quella sede avevo accumunato Luigi Spaventa e Nino Andreatta nel modo che segue: “Luigi Spaventa era un “buon economista”, al pari di un altro “buon economista” come Nino Andreatta”. Evidente è il riferimento al profilo del “buon economista” tratteggiato da Keynes nel saggio del 1924 dedicato a Marshall; ovvero che “un buon economista o anche solo un economista sicuro del fatto suo” è colui (“rarissima avis”) che deve avere una rara combinazioni di doti: “deve essere in un certo modo, matematico, storico, statista, filosofo; maneggiare simboli e parlare in vocaboli; vedere il particolare alla luce del generale; toccare astratto e concreto con lo stesso colpo d’ala del pensiero. Deve studiare il presente alla luce del passato e in vista dell’avvenire”.
Poiché il prof. Andreatta maneggiava con sicurezza molte delle predette doti, mi pareva opportuno ricordarlo al pari di un “buon economista”. Mi annotai invece che gli autori del libro di oggi preferivano ricordarlo al pari di “un post keynesiano eclettico”. Nessun dubbio sul fatto che il prof. Andreatta sia stato un “post keynesiano”, come dimostrano gli autori del libro, ma nei giorni scorsi, per preparare questo ricordo, ho voluto controllare, per curiosità personale, sulla Enciclopedia Treccani il significato della parola Eclettico. Eclettico è chi, nell’arte o nella scienza, non segue un determinato sistema o indirizzo, ma sceglie e armonizza i principî che ritiene migliori di sistemi e indirizzi diversi.
Convengo oggi sul giudizio che il prof. Andreatta sia stato un “economista eclettico” Propongo pertanto che sia ricordato da tutti noi, a completamento del suo profilo, al pari di “un buon economista eclettico post keynesiano”, su cui ritornerò in chiusura.
Ma dati i tempi di oggi, torno con la memoria agli avvenimenti parlamentari dell’estate-autunno del 1982; quando il prof. Andreatta era ministro del tesoro ed io tra i suoi “garzoni di bottega” al ministero stesso, ove si respirava aria di grandi cambiamenti: a partire dalla scelta dei più stretti collaboratori del Ministro: Sergio Ristuccia, Andrea Manzella, Mario Sarcinelli, Maria Teresa Salvemini, Lucio Izzo, Guido Rey, Guido Cammarano: tutti scelti dal ministro al di fuori del ristretto circolo dei peripatetici nei ministeri alimentato dalle chiuse corporazioni dei consiglieri di Stato e dei magistrati amministrativi; il cui principale impegno al vertice dei ministeri è quello di ostacolare qualsivoglia riforma del nostro apparato amministrativo. Occorrerà attendere fino all’arrivo al Tesoro di Ciampi (nel 1996) e oggi del ministro Saccomanni per assistere alla ripresa del ridimensionamento dei ricordati peripatetici nei ministeri.
Nell’estate del 1982, la stampa e gli atti parlamentari riferirono sugli oscuri intrecci di interessi e sul losco “affaire” che portarono al fallimento del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, alla sua fuga, morte e ritrovamento del cadavere sotto un ponte di Londra, al coinvolgimento nel losco “affaire” dello IOR dello Stato del Vaticano.
Le fonti parlamentari documentano che al seguito del losco “affaire” fioccarono in parlamento interpellanze e interrogazioni (tra cui quelle di Ingrao, Peggio e Sarti del PCI, Bassanini, Spaventa e Minervini degli Indipendenti di sinistra, Mancini del PSI, Olcese del PRI, Costamagna e Segni della DC), cui rispose il ministro Andreatta il 2 luglio del 1982, con la fermezza e il coraggio politico che molti temevano denunciando che “Al fondo di questa vicenda c’è la solita miscela, che ha caratterizzato tutti gli altri scandali della storia italiana, fatta di scorrettezze amministrative, di familiarità politiche, di legami indecifrati”.
Parole che richiamano alla memoria Piero Sraffa che nel 1922 denunciò sulla stampa internazionale i comportamenti di “una banda di malfattori” e del “gruppo di finanziare ribaldi”, che portarono al fallimento della Banca italiana di scontoiv. Parole conclusive del saggio pubblicato sull’Economic Journal che irritarono non poco il regime fascista per la figuraccia internazionale.
Alla denuncia di luglio 1982 seguirono svariate pressioni al Ministro affinché desistesse dal porre in liquidazione coatta in via di urgenza, ai sensi della legge bancaria, il Banco ambrosiano. Pressioni che vennero dal suo partito, da esponenti della finanza, dalle gerarchie ecclesiastiche, dalla loggia massonica P2, dalle Brigate rosse che fecero recapitare al ministero un documento ove si sosteneva che “occorre destrutturare oppure destabilizzare (non ricordo bene) Andreatta” secondo il loro plumbeo gergo criminale.
Malgrado le pressioni, nei tre mesi successivi al 2 luglio, “densi di sviluppi e di decisioni” e sciolti gli intrecci oscuri, risultò “che la storia drammatica del crollo di una banca e delle sue oblique incrostazioni”, aveva messo in luce che “Le consociate del Gruppo Ambrosiano dovevano dare (…) un totale di 1.635 milioni di dollari”, e che a loro volta dovevano “avere dallo IOR e da sue patrocinate 1.159 milioni di dollari0“. In particolare va ricordata la decisione che, malgrado le ricordate pressioni, fu adottata dal Ministro in data 4 agosto 1982, di porre in via d’urgenza in liquidazione coatta il banco Ambrosiano, dopo avere verificato, nelle parole del Ministro Andreatta, “la volontà dello IOR di non pagare i debiti delle società patrocinate, né quelli diretti”.
Le ferme decisioni prese allora consentirono al ministro Andreatta di concludere il discorso pronunciato l’8 ottobre 1982 alla Camera dei deputati con le seguenti parole che molti hanno dimenticato: “L’Italia non è una repubblica delle banane; questa vicenda, come altre che ci stanno davanti, dovrebbe ricordare che la fermezza non è la peggiore delle strade”.
Come già detto le denunce di Piero Sraffa non furono gradire dal regime fascista tanto da spingere lo stesso Sraffa ad accettare nel 1927 l’invito di Keynes a trasferirsi nell’ Università di Cambridge.
Nel caso del prof. Andreatta la “fermezza e il coraggio politico” nell’arrestare la deriva verso la repubblica delle banane gli costò la non riconferma al Ministero nel quinto governo Fanfani, cui seguì un decennio ed oltre di assenza dal governo durante i quali fu confinato prima alla Camera dei deputati (ove il potente Cirino Pomicino gli precluse la Presidenza della Commissione bilancio per riservarla a se stesso e dare avvio alla stagione dei “volovant”), presidenza che ottenne successivamente al Senato della Repubblica, ai cui lavori io stesso ebbi l’opportunità di partecipare.
Furono quelli gli anni durante i quali, per opera di governi imbelli, la deriva verso la repubblica delle banane riprese con il passo svelto del debito pubblico che tra il 1982 ed il 1992 passò da circa il 63-65 % del Pil al 105% dello stesso.
Se il prof. Nino Andreatta non ci fosse mancato troppo presto, anche la nuova deriva verso la repubblica delle banane degli anni 2000, segnati da colui che resterà nelle cronache giudiziarie come il più famoso condannato per evasione fiscale dopo Al Capone, avrebbe trovato un fermo oppositore e la corporazione degli economisti, che appare tuttora in stato di grande incertezza nella interpretazione della crisi di oggi, avrebbe trovato un solido punto di riferimento nel pensiero del “buon economista eclettico post keynesiano”; alla cui figura ritorno per ipotizzare che a fronte di alcuni esuberanti e garruli economisti che esaltano le virtù del capitalismo finanziario, o di coloro che invece lo assimilano allo sterco del diavolo, il “buon economista” Andreatta avrebbe ricordato a tutti questi (sicuramente insieme al “buon economista” Spaventa) le parole con cui J. M. Keynes chiuse il suo saggio del 1930 sulle “Prospettive economiche per i nostri nipoti”: “guardiamoci dal sopravvalutare l’importanza del problema economico, di sacrificare alle sue attuali necessità altre questioni di più profonda e più duratura importanza […] Se gli economisti riuscissero a farsi considerare gente umile, di competenza specifica, sul piano dei dentisti, sarebbe meraviglioso”.
Il professor Andreatta è stato un grandissimo “dentista”.