Premesso che le immagini degli scontri che ci sono arrivate ieri da Barcellona sono una brutta pagina della politica spagnola e che Rajoy, a mio avviso, ha fatto un errore ad adottare una linea così dura (trasformando in martiri persone che fino ad oggi si sono comportate in modo assai poco responsabile), ci sono però tre cose sul referendum di ieri di cui non mi pare nessuno abbia parlato e che invece vorrei sottolineare.
La maggioranza dei catalani NON è secessionista. Nel 2015, appena due anni fa, alle elezioni catalane, la grande coalizione delle forze indipendentiste ha ottenuto il 39.5%. Un dato certamente enorme, ma resta il fatto che la maggioranza dei catalani non è per la secessione. Gli indipendentisti hanno tutti i numeri per stare al governi del Paese, ma non possono dire che “tutto il popolo catalano vuole l’indipendenza”, perché non è così.
I politici Catalani oggi dipinti come martiri sono gli stessi che hanno governato la Catalogna negli ultimi anni affrontando la crisi economica con un piano di tagli alla sanità, all’istruzione e ai servizi sociali tra i più alti di tutta la Spagna, aggravando disagi e diseguaglianze e poi sviando l’attenzione dell’opinione pubblica con la bandiera dell’indipendentismo, scaricando su Madrid la colpa di politiche certamente restrittive ma che loro hanno reso ancor più draconiane in modo quasi scientifico. Negli anni 2009-2015 hanno operato tagli complessivi a sanità, istruzione e spese sociali per oltre il 26% (si veda grafico in fondo al post). La sanità, da sola, è stata tagliata del 31%, ed ulteriormente privatizzata, le tasse universitarie sono state aumentate del 158%, più di ogni altra regione, e la Catalogna è stata leader negli sfratti dei proprietari di case che non riuscivano a pagare i mutui, senza mettere in campo compensazioni in termini di politiche abitative (spianando la strada alla vittoria di Podemos e di Ada Colau come sindaco di Barcellona). Per non parlare degli scandali di corruzione in cui è coinvolto lo stesso Artur Mas, ex-presidente della Generalitat che in questi giorni ha sfilato accanto a Puigdemont come un martire caduto per l’indipendenza e la libertà. In realtà è un politico che stava cadendo per le indagini giudiziarie, risuscitato dall’ideologia indipendendista.
I due milioni e passa di votanti declamati ovunque anche sui nostri giornali sono un numero che non ha nessuna base solida, verificata o verificabile. E’ una sorta di “autocertificazione” del Governo della Catalogna, sugli esiti di una consultazione realizzata senza registri elettorali, senza alcun controllo, in cui chiunque poteva votare più volte, in cui le schede venivano scrutinate non si sa come e da chi. Non mi capacito come giornali anche seri continuino ad utilizzare questo dato come significativo di alcunchè.
A questi 3 fatti aggiungo una considerazione su cui in Italia quasi nessuno sembra voler riflettere.
La questione indipendentista in Spagna è una cosa molto seria. L’indipendentismo basco ha provocato più di ottocento morti e solo nei mesi scorsi si è trovato un accordo pacifico. Ci sono inoltre molte altre autonomie che stanno insieme grazie ad un patto di costituzionale e di solidarietà reciproca che non può essere stravolto in modo unilaterale. Se si cambiano equilibri da una parte si risvegliano rivendicazioni da un’altra. Non è un caso se lo Statuto della Catalogna del 2006 fu impugnato non solo dal Partido Popular, ma anche da cinque regioni autonome. Dire come ho sentito dire in Italia “ma sì, ma lasciali fare, che vuoi che sia” significa non tenere in conto la storia e la specificità spagnola, e pensare che siano la stessa cosa del secessionismo ormai un pò cacio e pepe della Lega Nord. Non è così. E’ molto, molto più complicato.
Ma di fronte a tanti esperti che in questi giorni prolificano e pontificano in ogni angolo, tutti con la soluzione in tasca, alzo le mani e mi arrendo.
FONTE: www.irenetinagli.it