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Catalogna al bivio nelle elezioni del 27 settembre: più autonomia ma secessione improbabile

“Ve lo assicuro io. Non ci sarà nessuna secessione della Catalogna”. A parlare è il manager di una nota azienda catalana, da tempo presente anche in Italia. “Noi catalani, come è giusto, otterremo ancora un po’ più autonomia, ma niente indipendenza”.

Non basta dunque il milione di persone in piazza per il giorno della Diada, a far spostare l’ago della bilancia. La sensazione è che la Catalogna alle prossime elezioni del 27 settembre continuerà a far parte della Spagna, magari ottenendo qualche concessione in più di quelle attuali, in modo che il trasferimento di danaro al Governo centrale di Madrid sia meno oneroso e doloroso.

Del resto il premier Mariano Rajoy non può certo permettersi di perdere la Catalogna se intende aggiudicarsi le elezioni generali di fine anno e ottenere un nuovo mandato alla Moncloa per il prossimo lustro. Oltretutto, un risultato negativo sarebbe uno smacco, ora che la situazione nel Paese è sensibilmente migliorata, il Pil cresce oltre il 3% e il tasso di disoccupazione scende, di poco certo, ma scende.

Resta il fatto che il quadro politico generale è confuso e complicato. I due blocchi (destra e sinistra) che hanno storicamente governato la Spagna sono da qualche anno in crisi. L’avvento di Podemos e di Ciudadanos, due schieramenti che hanno raccolto la protesta degli spagnoli e capito il sempre maggiore distacco della politica tradizionale rispetto alla vita di tutti i giorni, hanno sparigliato le carte. Basti pensare che Madrid e Barcellona hanno cambiato amministrazione e che per governare nelle principali regioni ci sia bisogno oggi di ampie coalizioni rispetto al monocolore, blu o rosso, di un tempo.

La Spagna, nonostante questo scossone politico, rimane un Paese conservatore e tradizionalista. Per questo è probabile che alla fine prevalga “l’usato sicuro”, in questo caso il leader Mariano Rajoy, rispetto a nuove sperimentazioni che vanno bene a livello locale, ma non a livello nazionale. Così come non basta un toro a fare la Spagna, così ci vorrà probabilmente del tempo prima di sbaragliare l’antica arte della tauromachia.

La Spagna rimane comunque terra di contrasti. Non solo Nord-Sud o industria-agricoltura. Ci riferiamo soprattutto alla cultura, al fatto che Madrid è una capitale nata politicamente sulla carta perché al centro del Paese ed equidistante dai suoi confini, ma non perchè veramente amata o scelta dal popolo. Mentre è più forte l’amore popolare per Barcellona, o San Sebastian, o Malaga e Valencia che rappresentano le diverse anime di uno stessa Penisola.  

Vedremo nei prossimi giorni l’esito della consultazione-referendum della Catalogna per capire che cosa potrà succedere a fine anno alle elezioni generali in Spagna. Difficile che il vento rinnovatore di Podemos e Ciudadanos possa diventare tempesta e spazzare a fine anno i vecchi partiti. Anche se il nuovo Governo spagnolo che uscirà dalle urne non sarà probabilmente più un monocolore, ma una coalizione allargata. Una sorta di italianizzazione che si spera non abbia conseguenze negative nella gestione del Paese iberico dopo anni di stabilità.

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