Alessandro Castellano, l’AD di Sace, non è persona che ami apparire continuamente alla ribalta e parlare al pubblico dalle pagine dei giornali. Se lo fa, essendo uno dei – non molti – manager di Stato che conosce il proprio mestiere, è perché vuole affermare alcuni concetti che sa non essere molto chiari, neanche per i politici e per molti addetti ai lavori. Lo ha fatto stamattina, in un’intervista apparsa sul Corriere della Sera, nella quale l’AD di Sace lancia tre idee chiave per il futuro del sostegno alle esportazioni: pensare non solo alle esportazioni dirette, ma al “designed in Italy” come punto di riferimento della produttività nazionale; permettere alla Sace di fornire finanziamenti diretti agli acquirenti esteri di merce italiana; creare un fondo europeo che finanzi le esportazioni in paesi extra UE a condizioni uguali per tutti gli esportatori europei.
La prima idea non è del tutto nuova per Castellano, che ben sa che nel mondo odierno, con i cambiamenti nel commercio internazionale che ci sono stati negli ultimi anni, non si può più pensare solo all’export del Made in Italy, inteso come merce prodotta e materialmente esportata dall’Italia, ma bisogna andare più in là. E’un concetto che Castellano aveva già espresso nell’intervista apparsa in uno dei primi numeri di FIRST online, nel maggio dell’anno scorso: bisogna passare gradualmente dal Made in Italy al “Made by Italy”, e perfino al “designed in Italy”, perché è più importante il luogo dove nascono le idee, l’innovazione e il design che il luogo dove nascono fisicamente i prodotti. Ne consegue che in una moderna visione del sostegno pubblico occorre assicurare e finanziare le vendite delle merci ideate e disegnate in Italia (che le merci siano prodotte in Italia o all’estero è poi di secondaria importanza), naturalmente a patto che i progetti di export ed investimenti abbiano una sostenibilità economica e offrano un ritorno in termini di competitività e di reddito alle nostre aziende.
La seconda proposta – quella per cui Sace dovrebbe essere messa in grado di fornire finanziamenti diretti agli acquirenti esteri di merce italiana – nasce in primo luogo dall’esperienza internazionale (l’AD di Sace cita al riguardo l’analoga attività della banca tedesca KFW-Ipex, che eroga finanziamenti legati all’acquisto di merci tedesche in tutto il mondo). A ciò si aggiunge il fatto che, con il passaggio a Cdp, il legame fra aspetto finanziario ed aspetto assicurativo nel finanziamento dell’export potrebbe diventare più stretto (Castellano non lo dice espressamente, ma sicuramente lo penserà), e la Cassa potrebbe diventare la mano finanziaria di operazioni diffuse di export finance, superando il problema della stretta creditizia che ostacola da anni ormai l’accesso al credito per le nostre imprese esportatrici, in particolar modo le Pmi. In questo modo si superebbe il modello della legge Ossola (Sace fornisce le assicurazioni, le banche finanziano le operazioni, la Simest dà le agevolazioni finanziarie), modello che ha ormai 35 anni, e mostra i segni del tempo e della profonda diversità nei flussi di commercio internazionale.
Infine la terza proposta – la creazione di un fondo europeo che finanzi le esportazioni in paesi extra UE a condizioni uguali per tutti gli esportatori europei – nasce da una considerazione che Castellano esprime nella sua intervista : “Il rating Paese incide negativamente sulle condizioni finanziarie che l’esportatore è in grado di offrire al cliente estero. Serve un veicolo che consenta l’erogazione diretta di finanziamenti alle aziende italiane a tassi competitivi, dunque a un costo inferiore rispetto a quello delle banche commerciali. L’Italia potrebbe farsi portavoce di un veicolo europeo che finanzi l’export verso Paesi extra Ue con le stesse condizioni per tutti gli esportatori. Questo creerebbe un ‘playing field level’ europeo in cui la competizione tra aziende sarebbe più equilibrata perché gli esportatori potrebbero offrire ai loro clienti esteri i medesimi tassi di finanziamento”. Questa sì sarebbe una proposta nuova e stimolante: ma, diciamo la verità, l’Unione Europea sarebbe in grado di farla propria, superando l’egoismo delle nazioni e delle sue banche? A giudicare dalle prove che ha fornito negli ultimi anni di crisi, diremmo proprio di no. Ma se non si tenta di pensare più in grande e guardare in avanti, rischieremo sempre di vedere solo il primo albero che nasconde il bosco.