Per i contadini che andavano a lavorare lontano nei campi, o su per le montagne, portarsene una scorta in un fazzoletto annodato rappresentava un prezioso supporto energetico quando, a metà giornata, i crampi della fame si facevamo sentire. Per questo, era fondamentale fare in modo che si potessero mantenere e consumare il più a lungo possibile, fino all’inverno inoltrato. Nei tempi antichi in bar non c’erano, c’erano però le castagne secche che possono in un certo qual senso essere considerate le antenate delle moderne barrette proteiche.
L’albero di castagno introdotto in Italia ai tempi dei romani è il doppione vegetale di quello che nel mondo animale è il maiale. Se nella cultura contadina il detto più ricorrente è “del maiale non si butta mai via niente”, lo stesso si può dire del castagno.
Per secoli le castagne sono state nutrimento basico per l’uomo, (quelle guaste andavano agli animali), la farina, in mancanza di quella di cereali destinata ai padroni e tassata, serviva per fare quello che veniva chiamato il pane dei poveri, che sostituiva anche il pane di segale, o per fare la pasta, cosa che in tempo di carestie e guerre nella storia ha rappresentato la salvezza (e anche, durante l’ultimo conflitto mondiale il castagnaccio è stato il succedaneo povero dei dolci che non tutti si potevano permettere).
Ma non è finita qui perché le scorze si mantenevano fino l’anno successivo per alimentare il fuoco dell’essiccatoio, le foglie venivano usate come lettiera per il bestiame nelle stalle; i ricci venivano tenuti da parte per naturale per l’orto. Il suo legname serviva a riscaldare i casolari, forniva tannino per la conciatura delle pelli e materia prima per le costruzioni, i mobili, i supporti agricoli per le coltivazioni e le recinzioni e gli attrezzi di uso quotidiano. E le castagne secche erano una buona riserva per le navigazioni o per i lunghi viaggi.
Insomma nella loro eterna lotta per la sopravvivenza i poveri hanno imparato ad utilizzare e cucinare le castagne nei più svariati modi.
Nell’alta Val Bormida da tempi immemorabili le castagne secche sono una vera e propria arte, soprattutto quelle di Calizzano e Murialdo due piccoli borghi dell’entroterra ligure collocati a 6-700 metri d’altezza sul livello del mare, circondati da prati, faggete e boschi incontaminati.
La castagna usata è la Gabbiana che il Gallesio, celebre botanico ligure vissuto a cavallo fra 700 e 800, e sepolto fra gli uomini illustri in Santa Croce a Firenze, definì in questi termini: “… Io comincerò a dare qui un’idea di quelle (castagne) che si distinguono nell’Appennino Ligustico…” “…Io le riduco a due, perché non ne trovo che due che rappresentino delle qualità tali da meritare di essere distinte, e sono la Gabbiana e la Ciria.” E continua:”… Io non ne ho mai trovate delle ugualmente gentili in alcun paese. Da per tutto ho trovato i Marroni e li ho trovati figurare come la prima tra le castagne, cosa che non succede dove si conoscono le Gabbiane e le Cirie.” Sempre dal Gallesio si apprende che il mercato per queste varietà di castagne era addirittura internazionale, con esportazione a Marsiglia (Francia) e a Barcellona (Spagna).
Gli antichi tecci in pietra per l’affumicatura danno un sapore inconfondibile
L’essiccatura delle castagne avviene nei Tecci. E’ una tecnica antica, un tempo diffusa in tutto l’arco appenninico ligure e nelle valli piemontesi. I tecci sono piccole costruzioni in pietra costituite da un solo locale e con il tetto di scandole (assi di legno) dove viene acceso un fuoco controllato e costantemente alimentato dalla potatura dei castagni o dalla pula. A due o tre metri da terra, c’è la graia – un soffitto di graticci in legno – dove le castagne vengono adagiate a strati e vengono avvolte da fumo e calore.
L’affumicatura si protrae per un paio di mesi. Perché sia uniforme, è importante la “girata”: le castagne degli strati inferiori sono portate in alto e viceversa. Dopo questa operazione, sono esposte al fumo ancora per 5-10 giorni e poi battute per eliminare la scorza. Possono essere consumate al naturale o entrare fra gli ingredienti di biscotti, confetture, creme e gelati. Con i frutti migliori, a Natale si preparano le tradizionali Viette: si lasciano lessare le castagne secche per cinque ore in una pentola con un peso sopra che le mantenga sempre del tutto sommerse dall’acqua. Particolarmente dolci, hanno un sapore che ricorda la frutta candita.
Un tempo il castagno era una pianta spontanea in questi boschi. Nel Medioevo per ottenere frutti più grossi e consistenti per l’alimentazione, si innestarono gli alberi selvatici. Che i castagni avessero un valore economico per la popolazione lo si può dedurre dal fatto che in numerosi atti notarili di compravendita si trova spesso il termine castaneativae, cioè terre coltivate a castagne. Da allora la coltura del castagno si diffuse capillarmente sino agli inizi dell’800.
La coltivazione del castagno era talmente diffusa che in valle Stura, poco sopra il ponente genovese, la parola erburu (albero) significa castagno. In età napoleonica i 3/4 del territorio coltivo dell’attuale provincia di Genova era investito a castagno e l’area di coltivazione di questa pianta comprendeva anche la collina di Albaro, ora quartiere residenziale genovese a poche centinaia di metri dal mare, dove sino alla fine dell’800, c’erano case con i tetti in scandole: tegole in legno di castagno. Poco lontano da Genova esiste un paese che si chiama Scandolaro per l’abilità dei suoi abitanti a fare le scandole.
Durante il periodo delle Repubbliche Marinare questi preziosi frutti vennero commercializzati anche nei paesi dell’Europa centro-settentrionale.
Poi, verso la fine del XIX secolo le castagne presero anche la via delle Americhe: gli emigranti italiani (e soprattutto quelli di origini liguri) le esportarono negli Stati Uniti custodite nelle navi mercantili, tenute a bagno per evitare l’insorgenza di muffe e funghi.
L’attacco del parassita venuto dalla Cina è stato debellato e ora si guarda al futuro
Ma la vita dei castagneti liguri, e non solo liguri ma anche di altre regioni italiane, ha subito un duro colpo dall’arrivo in Italia di un parassita figlio della globalizzazione che ha omologato i mercati, la“cinipide galligeno del castagno”, originario della Cina ampiamente diffuso in Giappone, Corea e Stati Uniti e particolarmente dannoso perché attacca la gemma che produce la castagna.
Nel 2008 la cinipide ebbe effetti devastanti mettendo in ginocchio la raccolta delle castagne e la loro trasformazione. Per capire le dimensioni del problema va ricordato che i boschi di castagno in Italia rappresentano circa il 7,5% del totale della superficie forestale italiana, che copre un terzo del territorio nazionale. La presenza di castagneti si concentra soprattutto in Piemonte, Toscana, Liguria (che insieme rappresentano il 50% del patrimonio nazionale dei castagneti).
Stava scomparendo, la salvezza si chiama Presidio Slow Food
A distanza di dieci anni grazie alla lotta integrata i castagni liguri hanno superato la crisi. Particolarmente importante è stato poi il fatto che la castagna secca di Calizzano e Murialdo è diventata Presidio Slow Food.
Il Presidio ha portato avanti un’opera di valorizzazione dell’antica tecnica di raccolta e conservazione tramite la cooperativa Il Teccio, che riunisce raccoglitori e trasformatori: un severo disciplinare di produzione delimita l’area di raccolta e indica le modalità di affumicatura, di lavorazione e di trasformazione.
“Dobbiamo ricordare che le castagne – sottolinea Gerolamo Calleri, presidente regionale della Coldiretti sono state alla base dell’alimentazione della Liguria dell’entroterra. Sviluppare questo settore, come si sta facendo, non è solo un fatto economico per il rilancio delle zone montane ma anche un momento di recupero di cultura”. Per inciso, nell’antica cultura contadina ligure il castagno era considerato il simbolo della previdenza, in quanto in grado di nutrire, come un buon padre, i suoi figli per tutto l’inverno; e, sulla base di questa credenza popolare, il papà costruiva una culla in legno di castagno per far crescere il bambino forte e robusto.
A seguito dell’istituzione del Presidio Slow Food una cooperativa di raccoglitori di castagne ha redatto un disciplinare di produzione che delimita l’area di raccolta e indica nei dettagli le modalità di affumicatura, di lavorazione e di trasformazione. La filiera è completa: alcuni bravissimi artigiani locali fanno parte della cooperativa e si sono impegnati a usare le castagne essiccate per realizzare biscotti, confetture, creme e gelati.
Per Luca Ghisolfo, referente Slow Food per il Presidio delle castagne essiccate nei tecci che da anni si batte per promuovere la conoscenza di questo patrimonio di tradizioni, campione di biodiversità: “Il fatto di avere una decina di associati, tra produttori e trasformatori, di avere un mulino che macina le castagne per trasformarle in farina, fa sì che la cura dei castagneti e la loro valorizzazione possa tornare ad essere realtà”.
Tra l’altro la castagna dei tecci, “ha un buon valore economico e amplifica le sue potenzialità se lavorata come confettura, come farina per biscotti e paste, come ingrediente per la birra. Come per tutti i prodotti liguri – conclude Ghisolfo -bisogna farli conoscere e promuoverli”. E c’è da dire che dopo tanta fatica i risultati si cominciano a vedere. Le castagne di Calizzano e Murialdo, grazie a chi ci ha creduto come Ghisolfo, sono oggi una opportunità concreta di economia locale, perché è oramai assodato che i valori intrinseci dei territori possono creare opportunità e valorizzare aree ritenute marginali.
DOVE COMPRARLE
Ecco un elenco di produttori che aderiscono ai principi dei Presidi Slow Food
Luciano Ghisolfo, borgata Costa,17013 Murialdo (SV) , 019 53749.
Ezio Ghisolfo , Borgata Isoletta ,17013 Murialdo (SV) , 346 4912200.
Valeria Pesce , borgata Frassino, 7 , 17057 Calizzano (SV), 01979720 .
Agriturismo Cà di Voi, Frazione Caragna , 17057 Calizzano (SV) 333 3568200