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Cassoeula: il piatto tipico della tradizione lombarda da gustare in compagnia tra leggenda e cultura contadina

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“Del maiale non si butta via nulla”. Ed è assolutamente vero. Lo sanno bene i lombardi, che fra i piatti tipici della tradizione vantano una specialità della cultura povera: la cassoeula, amatissimo piatto caldo invernale, a base di verze e carne che un tempo celebrava il periodo dedicato alla macellazione del maiale che ogni famiglia aveva allevato. Per il suo alto apporto calorico e il senso di sazietà che genera, la cassoeula lombarda è da considerarsi un piatto unico. Può essere realizzato in tanti varianti, infatti la ricetta della cassoeula varia da provincia a provincia. Ma in ogni caso si tratta di un piatto stagionale nato a partire dagli avanzi – in particolare cotenna, musetto, piedini, testa e costine – perfetta espressione della tradizione contadina e del riuso domestico.

Non solo, forte è anche il legame religioso. Il piatto è legato alla ritualità del culto popolare di Sant’Antonio abate, (17 gennaio), considerato il protettore degli animali domestici tanto da essere solitamente raffigurato con accanto un maiale che reca al collo una campanella. Una figura per la quale in Lombardia e in diverse zone d’Italia esiste una devozione antica e ben radicata. Infatti, la festa di Sant’Antonio abate poneva, da calendario, fine alla macellazione dei maiali.

Le origini della cassoeula lombarda

Le origini del piatto viaggiano nel tempo. Una volta, i primi freddi dell’anno erano molto intensi e anche a tavola si avvertiva il bisogno di piatti sostanziosi, energetici, che aiutassero a sostenersi durante le lunghe giornate di lavoro. Uno di questi piatti era senza ombra di dubbio la cassoeula. I tagli di carne utilizzati erano quelli più economici e avevano lo scopo di insaporire la verza, elemento invernale basilare della cucina contadina lombarda nei secoli scorsi.

La leggenda

Non vi è un’origine certa di questa pietanza, ma secondo le leggende dell’epoca la cassoeula sarebbe nata a Milano durante i primi del ‘500, sotto la dominazione spagnola, grazie a un soldato innamorato di una cuoca a servizio in una famiglia nobile locale. La donna, trovatasi senza ingredienti in dispensa, accolse il suggerimento del giovane soldato: utilizzare gli scarti del maiale e le poche verdure dell’orto, creando una pietanza apprezzatissima dai commensali, tanto che la giovane donna, grata, decise di sposarlo. Al di là delle leggende, la prima testimonianza scritta ufficiale risale al Quattrocento nel ricettario di Ruperto da Nola, al servizio della corte Aragonese di Napoli, che nel suo “Llibre del Coch” descrive “la cassola de carn”, pietanza molto simile all’attuale versione del piatto. Nel XIX secolo, si ritrova nell’opera “Il cuoco senza pretese” del comasco Odescalchi (1826), “Una cazzoletta ben fatta ella è pur buon pasto”.

Il nome

Ma da dove deriva il suo nome? Ci sono diverse teorie: c’è chi ritiene che derivi da cassoeu, parola dialettale con cui si indica il cucchiaio con cui si mescola durante la cottura, mentre molti sostengono che si riferisca al tegame in cui viene cotta la carne. Secondo l’ipotesi più accreditata, però, il nome deriverebbe da cazzuola, lo strumento usato dai muratori per spalmare la malta tra i mattoni: secondo cui gli operai, in mancanza di un vero e proprio mestolo, utilizzavano la cazzuola per mescolare il preparato durante la cottura.

Altro nome con cui è conosciuta il piatto tipico lombardo è “Bottaggio”, che deriverebbe da “botte” o più probabilmente dal francese “potage”, minestra. È da segnalare inoltre che esiste un piatto della tradizione tedesca, il “Kasseler” (“càssola” nella pronuncia italiana), con cui si indica un taglio di carne suina salato (stagionato) e leggermente affumicato servito con cavolo verza.

I mille sapori della cassoeula lombarda: le varianti

Nonostante l’origine lombarda, le varianti in cui questo saporito e gustoso piatto invernale si declina sono infinite: a Como non si usano i piedini ma la testa del maiale, mentre a Novara si unisce anche la carne d’oca (ragò), più magra. A Milano invece la testina. In Brianza vengono anche utilizzati orecchie, musetto di maiale, piedino, codino e si accompagna con la polenta e le verdure che vengono tagliate a pezzetti. Ancora, nella zona di Bergamo il piatto è più asciutto e viene preparato con verza e cavolo cappuccio, invece nel pavese si usano solo le puntine, e infine a Varese si aggiungono i verzini, piccole salamelle prodotte con l’impasto della salsiccia. Una variante si rintraccia anche in Sardegna, dove viene chiamata “cassola”, soprattutto nei pressi di Sassari.

Guardando fuori i confini nazionali, nella tradizione culinaria popolare europea vi sono altri piatti con ingredienti simili, come le diverse forme di “potée” francesi (minestre a base di cavolo e maiale) o la choucroute alsaziana, a sua volta derivata dal Sauerkraut tedesco (entrambi i piatti sono basati su crauti e carne di maiale). E ancora, il piatto nazionale della Polonia è il “bigos“, anch’esso basato sulla verza.

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