La banca risponde dell’operato dei propri intermediari che, senza fornire le dovute indicazioni di rischio, hanno creato problemi economici agli investitori. Lo ha sottolineato la I sezione civile della Corte di Cassazione nel caso del cliente che ha fatto causa a Banca Carige chiedendo la nullità degli acquisti di bond argentini, ripetuti negli anni.
In particolare, secondo il cliente lamentava erano stati presentati come “esenti da rischio e ad alto rendimento”, mentre a fine 2001, con il default dell’Argentina “l’investimento era stato sostanzialmente azzerato”. Il giudice di primo grado ha respinto le richieste riferite agli acquisti eseguiti dal gennaio 1997 al gennaio 2001 mentre ha accolto la domanda di risoluzione riguardante il terzo acquisto concluso il 22 gennaio 2001 “per mancato assolvimento da parte della banca degli obblighi informativi previsti” dal Tuf.
Carige ha fatto appello contro la decisione del tribunale e l’investitore, dal canto suo, ha a sua volta fatto impugnazione incidentale e chiesto la nullità dei contratti dal 31 gennaio 1997 e 29 gennaio 1998. La Corte d’Appello ha respinto l’impugnazione principale e accolto tutte le richieste dell’investitore.
La Banca si è rivolta allora alla Cassazione che ha respinto il ricorso. Tra le motivazioni della decisione, la Suprema Corte spiega che “in tema di intermediazione finanziaria, le pluralità di obblighi” che fanno capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie “convergono verso un fine unitario, consistente nel segnalare all’investitore, in relazione alla sua accertata propensione al rischio, la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere (suitability rule)”.