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Cassa Depositi e Prestiti: privatizzazioni per fare credito alle imprese

Cassa Depositi e Prestiti, pur essendo all’80% dello Stato, agisce come una banca privata perché impiega oltre al patrimonio proprio valutato in circa 18 Miliardi, il denaro dei risparmiatori racconto attraverso i Buoni Postali e, in parte minore, le obbligazioni. Questo non significa che la Cassa non punti a svolgere un ruolo pubblico che consiste nel tener presente in ogni operazione che effettua, non solo il proprio profitto, ma anche le prospettive di rafforzamento dell’apparato produttivo italiano. Un concetto complesso che si basa sia sulle norme che regolano l’attività della Cassa sia sulla “mission” che gli attuali dirigenti hanno messo a punto in oltre un decennio, da quando cioè è stata avviata la trasformazione della vecchia Cassa in Spa.

Il presidente Bassanini e l’amministratore delegato Gorno Tempini hanno egregiamente illustrato questa logica durante un’audizione di fronte alla Commissione Bilancio della Camera presieduta dall’on. Boccia, dedicata alle operazioni di privatizzazione che la Cassa stessa sta effettuando sia delle proprie partecipazioni dirette che di quelle indirette possedute attraverso il Fondo Strategico Italiano. Bassanini e Gorno hanno respinto con argomentazioni ben fondate l’insidiosa sollecitazione, venuta in particolare dall’on Fassina, di ampliare le possibilità operative del FSI anche sulle aziende in difficoltà che però potrebbero avere la possibilità di recuperare se avessero capitali sufficienti ad affrontare una ristrutturazione e ad effettuare i necessari investimenti. E’ chiaro che questa apertura comporterebbe il rischio di trasformare la Cassa in un ente di salvataggio di aziende decotte per le quali non è certo difficile formulare fantasiosi piani di ripresa. Quante volte abbiamo visto piani quinquennali delle aziende controllate dall’IRI che immancabilmente solo all’ultimo anno mostravano un ritorno all’utile!

In realtà, come ha spiegato Bassanini la vendita di asset pubblici alla Cassa è già una privatizzazione, per cui il lavoro che oggi si sta facendo rappresenta una privatizzazione di secondo livello. Cioè la Cassa ha consentito allo Stato di guadagnare tempo, cioè di cedere subito delle partecipazioni in aziende affidando poi ai tecnici della Cassa stessa il compito di valorizzarle al meglio. Gorno ha spiegato che questa attività di cessione di parte delle partecipazioni è indispensabile sia per rafforzare il sistema produttivo attraverso alleanze con partners anche internazionali, sia per consentire alla Cassa di liberare quote del proprio patrimonio che sono, sulla base delle normative di vigilanza, vincolate all’ammontare delle partecipazioni ed a quello dei crediti concessi. Per cui liberare quote di capitale è indispensabile proprio per consentire alla Cassa di sviluppare ulteriormente la propria capacità di concedere credito alle imprese.

Le principali operazioni effettuate o in dirittura di arrivo, sono la quotazione Fincantieri, la cessione di una quota importante, ma minoritaria, della Cdp Reti, la sub holding che raggruppa le partecipazioni Snam e Terna oltre alla probabile integrazione del gasdotto Tag, la cessione del pacchetto di azioni Generali, che ha comportato una buona plusvalenza e l’ingresso di due soci (uno cinese e l’altro coreano) nell’Ansaldo Energia.

In questo modo, contrariamente a quello che temono alcune deputati del M5S e della sinistra, lo Stato non perde il controllo di asset strategici, mentre la Cassa si rifornisce di mezzi finanziari freschi e di spazi patrimoniali per poter sviluppare ulteriormente il finanziamento alle aziende attraverso vari strumenti tra cui il fondo per il sostegno alle PMI che ha già contribuito al finanziamento di oltre 90 mila imprese.

Naturalmente la Cassa svolge anche altri compiti a favore dello Stato come ad esempio quello che riguarda il sostegno alle dismissioni immobiliari, o il rifinanziamento delle banche che scontano le fatture emesse dalle imprese e che gli enti pubblici tardano a pagare. Il problema che per la verità nelle aule parlamentari non si è affacciato ( ma i liberali dove sono?), sta nel chiarire quando e fino a che punto la Cassa deve mantenere un controllo di asset ritenuti strategici o se invece non occorrerebbe essere molto più chiari nel tracciare una netta linea di confine tra i settori dove esiste un vero interesse pubblico e ciò che invece dovrebbe essere ceduto al più presto proprio per evitare che la Cassa con il tempo si trasformi in un centro di potere con interessi ramificati in tutte le strutture più importanti dell’economia italiana.

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