“Il Governo ha chiesto e ottenuto l’impegno dell’azienda a rispettare quanto stabilito nell’accordo Indesit del 2013 e farà di tutto per salvaguardare i posti di lavoro del gruppo Whirlpool in Italia“. Lo ha dichiarato il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi dopo la presentazione del piano industriale da parte dell’azienda, che prevede 1.350 esuberi, oltre quattrocento in più di quelli a suo tempo indicati dal management italiano. Prima cioè che il controllo societario fosse acquisito della multinazionale. Come sempre, è bene innanzitutto leggere le carte.
In genere, quando si cerca un’ipotesi di accordo su una vertenza industriale, prima dell’apertura del confronto la parte aziendale incattivisce le premesse, il sindacato reagisce a brutto muso, il governo apre un tavolo, ascolta pazientemente, elabora una soluzione equilibrata e prospetta propri interventi di sostegno sia dal lato degli investimenti dell’impresa, sia in tema di ammortizzatori sociali, la Regione competente s’impegna a esplorare soluzioni alternative, l’azienda diffidente aspetta che il sindacato accetti una riduzione dell’organico minore di quanto minacciato, ma maggiore di quanto sperato dai lavoratori, il sindaco del paese dove sta la fabbrica scavalca in dirittura d’arrivo tutti a sinistra e minaccia di mandare all’aria l’ipotesi di accordo.
Così si fa notte fonda e all’alba, stremati, affamati, tutti firmano, aspettano di avere una fotocopia dell’accordo vergato da mille sigle, passano al bar attiguo al ministero che sta riaprendo le porte, e tornano a casa. Nei mesi seguenti, soddisfatto, e distratto da altre emergenze, il governo è il primo a non mantenere gli impegni firmati, la Regione fa altrettanto e, quando l’azienda riprende i licenziamenti, tutti gridano al tradimento degli impegni, dimenticando i propri.
Nel caso della Indesit, l’ipotesi di accordo (così si dice) fu raggiunto il 3 dicembre 2013, regnante Enrico Letta. A firmare per il Ministero dello Sviluppo economico fu il sottosegretario Claudio De Vincenti, che aveva quelle deleghe. De Vincenti s’impegnò “a valutare l’utilizzo di strumenti idonei (Contratti di Sviluppo e/o altro)… finalizzati a supportare gli investimenti previsti nel piano industriale… Ciò al fine di consolidare produzione e occupazione…”. La Regione Marche s’impegnò a “formulare proposte… che riguardano le aree interessate dalla crisi Indesit”. Anche la Regione Campania s’impegnò su progetti di formazione e riqualificazione professionale.
Un anno dopo la Whirlpool comprò la Indesit. Sotto il profilo giuslavorativo, nulla poteva cambiare, perché a impegnarsi è sempre l’azienda, mica i soci. Certo, il piano industriale sì, quello non si poteva pretendere che restasse ingessato. Intanto, il cosiddetto piano è un’astrazione quando è fatto non per scelte imprenditoriali strategiche ma per essere dato in pasto agli stakeholders. In secondo luogo, se cambia l’azionariato di comando imprenditoriale le strategie non possono non essere aggiustate. Ma, ripeto, gli impegni sindacali restano intoccabili.
In questa dialettica, la mano pubblica è forte se ha le carte in regola, se Ministero e Regioni hanno ottemperato ai propri impegni. Nel caso Indesit-Whirlpool, il governo non è quello del 2013 ma, eccezionalmente, il sottosegretario è lo stesso, anzi oggi è ancor più importate, è sottosegretario alla presidenza del Consiglio. È un aspetto, questo, sfuggito al dibattito. A mio giudizio è da qui che si dovrebbe ripartire. De Vincenti ha fatto quello su cui si era impegnato?