La condanna a 14 mesi di galera del direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, per il reato di diffamazione è talmente mostruosa da rasentare l’inverosimile. Se non vogliamo finire dietro il Botswana nelle classifiche internazionali per Paese, è pacifico che bisogna cambiare al più presto la disciplina sulla responsabilità di diffamazione. Come? Una buona idea è quella avanzata dal ministro della Giustizia, Paola Severino: “Omologare la norma agli standard europei che prevedono sanzioni pecuniarie e non detentive“. Tutto chiaro, dunque, e forse oportet ut scandala eveniant.
Tuttavia c’è un “però”, anzi due, che sarebbe ipocrita tacere. La prima questione che sul caso Sallusti trasmette ipocrisia a piene mani è molto semplice: adesso che lo scandalo è scoppiato tutti i politici – di destra, di centro e di sinistra – tuonano contro la norma liberticida ma, siccome la legge non è nata ieri, dov’erano questi politici nei mesi e negli anni scorsi? Qualcuno era al governo e aveva tutti mezzi per cambiare la norma. Perchè non l’ha fatto? Dov’era? Dormiva? Altri invece erano forse in vacanza sulla Luna.
Ma c’è un altro “però” che va chiarito per evitare confusione e ipocrisia. Come si sa, il caso in questione nacque da un articolo pubblicato il 18 febbraio 2007 su Libero, che allora Sallusti dirigeva, e firmato Dreyfus (oggi l’on. Renato Farina del Pdl, noto come Betulla e già radiato dall’Ordine dei giornalisti quando si scoprì che era un infromatore dei Servizi segreti, se ne è assunta la responsabilità) che si intitolava “Costretta ad abortire da genitori e giudice”. Il giudice tutelare di Torino, Giuseppe Cocilovo, si è sentito diffamato e ha reagito. Ieri il giudice ha spiegato: “L’unica cosa a cui tenevo è che fosse ristabilita la verità dei fatti” ma “il quotidano Libero non ha mai pubblicato neanche un trafiletto in cui si diceva che la notizia era infondata, uno sbaglio per cui chiedere scusa ai lettori. Io non ho proprio ordinato nessun aborto e il quotidiano non ha pubblicato nulla per ripristinare la mia dignità personale. Eppoi la proposta per rimettere la querela l’avevo fatta: avevo chiesto 20mila euro da devolvere in beneficenza all’associazione Save the Children, ma Sallusti ha rifiutato”. La dignità del giudice Cocilovo vale meno di quella del giornalista Sallusti? Sarebbe arduo sostenerlo.
In conclusione: un conto è la libertà di stampa che va difesa senza se e senza ma e un altro conto è la correttezza dell’informazione che deve essere rispettosa di tutto e di tutti e soprattutto della verità e che impone anche l’obbligo di rettifica. Se manca la correttezza anche la libertà di stampa evapora. Sarebbe un’infamia condannare Sallusti al carcere ma senza correttezza professionale è difficile che il direttore dl Giornale diventi un paladino della libertà.