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Caso Penati, non è la diversità del Pd ma la normalità della politica a volere interventi draconiani

Brutta tegola per il Pd il caso Penati. Prima di tutto perché ha spostato su un grave fatto di corruzione interno al partito l’attenzione di una opinione pubblica che proprio il Pd era riuscito a far concentrare su analoghi e, magari più gravi casi che riguardavano autorevoli esponenti del Pdl. Poi perché Filippo Penati non è un “quidam de populo”. E’ stato sindaco di Sesto San Giovanni, candidato alla presidenza della Regione Lombardia, contendendola a Roberto Formigoni, quindi ha coordinato la campagna elettorale di Pierluigi Bersani, in occasione delle primarie che lo hanno portato alla segreteria del Pd.

Eppure a trarre d’impaccio il partito poteva essere lo stesso Penati. Sarebbe bastato che, dopo il riconoscimento da parte della magistratura del suo diritto ad avvalersi della prescrizione per i gravi reati del quale si sarebbe reso responsabile, lui avesse detto di rinunciare a quel beneficio, chiedendo invece di essere prosciolto in giudizio da quelle gravi accuse. Niente di più di quanto il Pd ha più volte chiesto a Berlusconi di fare, in occasione di analoghe prescrizioni. In fondo nel vecchio Pci, del quale Penati è stato un autorevole e apprezzato funzionario dirigente, questi comportamenti erano talvolta d’uso. Se no dove andava a finire la dichiarata “diversità” tanto cara ad Enrico Berlinguer? E del resto un comportamento del genere è stato prima suggerito e poi energicamente richiesto a Penati tanto dal presidente Rosy Bindi che dal vicesegretario Enrico Letta.

Dinanzi alla finora cocciuta determinazione dell’ex sindaco di Sesto (avrà le sue buone ragioni) ad affidarsi alla prescrizione, Bersani ha rimesso la pratica alla Commissione di garanzia, il foro interno al Pd autorevolmente presieduto da Luigi Berlinguer. Ci si chiede se la Commissione potrà prendere nei confronti di Penati anche il provvedimento di espulsione. Lo stesso presidente della Commissione ha fatto notare che in proposito lo Statuto non è chiarissimo. Ma ha anche lasciato intendere che una decisione forte e tempestiva ci dovrà essere. In modo di poter dimostrare ancora una volta la “diversità” del Pd, rispetto ad altri partiti.

Ma questa impostazione convince poco. Non è la diversità di un partito rispetto ad altri ad esigere provvedimenti draconiani nei confronti di amministratori che violano la legge. Lo è invece la “normalità” della politica. Quest’ultima, se “normale” non può essere “mariola”. E quindi se Penati, una volta fossero accertate dalla Commissione di garanzia le sue gravi responsabilità, sarà espulso, questo non vorrà dire che il Pd è un partito “diverso” , ma più modestamente e sommessamente un partito che aspira a riportare la politica alla normalità. Visto che, come diceva Lucio Dalla, anche in politica, “la cosa veramente eccezionale è di essere normale”.

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