Cartelle esattoriali: si riparte. Dopo lo stop per la pandemia, da venerdì 16 ottobre ricomincia la riscossione dei debiti fiscali. Nel decreto Agosto, approvato lunedì in via definitiva alla Camera, non è stata inserita la tanto attesa proroga della moratoria, per cui ora lo Stato torna a reclamare i debiti delle imprese e dei cittadini italiani.
La ripresa della riscossione ordinaria non sarà improvvisa, ma scaglionata. E non potrebbe essere altrimenti, vista la mole gigantesca di notifiche arretrate. In tutto, il Fisco deve recapitare ai contribuenti qualcosa come nove milioni di cartelle esattoriali: un compito che porterà a termine in sei mesi.
I primi a essere notificati saranno gli atti datati marzo 2020, poi via via toccherà a tutti gli altri arretrati accumulati nei mesi più critici dell’emergenza Covid. La maggior parte di questi ruoli è d’importo ridotto: il 73% non supera i mille euro, mentre il 15% si colloca nella fascia fra mille e 5mila euro.
Attenzione: tutto questo non significa che le nuove cartelle esattoriali arriveranno fra sette mesi. Per gli atti di riscossione, accertamento o pignoramento con data successiva al 15 ottobre 2020, infatti, le notifiche saranno spedite immediatamente.
Ma non è finita. Sempre dal 15 ottobre, riparte anche l’obbligo di pagare le somme contenute nelle cartelle già notificate, comprese quelle rateizzate. Per riprendere i versamenti sospesi durante la moratoria c’è tempo fino al 30 novembre.
Solo i contribuenti che avevano aderito a una sanatoria delle cartelle esattoriali avranno qualche giorno in più. Le rate congelate quest’anno e relative a rottamazioni o saldo e stralcio andranno versate entro il 10 dicembre e non ci sarà alcuna tolleranza per i ritardatari. Chi buca la scadenza viene cancellato dal piano di definizione agevolata e nei suoi confronti ricominciano le attività di riscossione ordinaria.
Intanto, da uno studio del Consiglio e della Fondazione nazionale dei commercialisti emerge che la pressione fiscale italiana “è più alta del 5,8% di quella reale (42,4%)” e supera quindi il 48%, facendo del nostro “il Paese più tartassato d’Europa”.
Dopo “cinque anni di ininterrotto calo della pressione fiscale nella Penisola, nel 2019 si è verificato un brusco incremento di 0,7 punti, che ha riportato il livello complessivo indietro di quattro anni – si legge nell’analisi – Ma al netto del sommerso e dell’economia illegale, pari al 12% del Prodotto interno lordo (Pil), ovvero 215 miliardi di euro”, gli oneri derivanti da tassazione raggiungono “il 48,2% (+5,8% rispetto a quella ufficiale)”.
Risultato: l’indicatore Ocse che misura il cuneo fiscale “pone l’Italia ai primi posti in Europa: al terzo posto per dipendente single, con il 48%, e al primo posto per dipendente sposato con due figli, con il 39,2%”.