La scrittura di Gianrico Carofiglio viene definita sottile e profonda, così come i suoi ragionamenti, sempre affilati e chiari. Nel giro di diciotto anni, essendo del 2002 il suo primo romanzo, “Testimone inconsapevole”, è diventato uno degli scrittori italiani più noti e tradotti all’estero. Passa dal racconto al romanzo al saggio con disinvoltura e i lettori lo seguono a migliaia, qualunque sia la scelta del momento. Il 3 settembre prossimo, per esempio, uscirà per Feltrinelli un saggio dal titolo “Della gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e di altre cose”; dopo che ha appena scombussolato lo Strega partecipando con il primo giallo della storia del premio, il suo “La misura del tempo”. Non ha vinto, come si sa, ma ha tenuto tutti col fiato sospeso. Una bella soddisfazione.
Carofiglio è un barese fiero di esserlo e un uomo di molte passioni. Due di esse, le arti marziali, il karate nello specifico, e la politica si devono lambire nel suo immaginario. La prima l’ha trasformata perfino in materia di studio per il controllo della forza e della rabbia, trasmettendone i risultati in seminari a manager bisognosi. La seconda la pratica alla maniera antica, rincorrendo sistemi di valori, più che sistemi di potere. Sempre a sinistra, qualunque cosa abbia significato nel corso degli ultimi trent’anni. Ed è proprio sul presente e sul futuro della sinistra che lo abbiamo interrogato visto che in Puglia, per la prima volta dopo quindici anni, essa rischia di perdere le elezioni.
La sua passione politica è intatta, pur essendo messa a dura prova dal suo schieramento politico: sempre disuniti alla meta. Anche questa volta. Con Ivan Scalfarotto, candidato di Italia Viva, costola e alleato del Pd, che compete in Puglia contro Emiliano, cosa che rischia di far vincere il centrodestra guidato da Fitto. Come spiega questa ansia autodistruttiva della sinistra?
«Meta? Il problema è che molto spesso è proprio la meta che viene mancata. E naturalmente le ragioni sono molte, ho cercato di analizzarle nel piccolo libro che esce il 3 settembre, sul metodo della politica. Il tema centrale è l’assenza al momento di un sistema di valori e di passioni unificanti. È uno dei compiti di costruzione di un’idea di futuro. Non si tratta tanto di fondare un fronte progressista, idea un po’ consumata, ma di ricostruire un sistema di passioni. Non c’è dubbio che è difficile percepire il progetto politico del partito maggiore della sinistra, il Pd: esso non è chiaro, non è elaborato e quindi non è visibile. Non so se come propone qualcuno si tratti di cambiare un leader. Ma la richiesta di cercare una persona più carismatica dice abbastanza poco. Si tratta di capire se chi si candida, presunto o vero più carismatico, lo fa per proporre qualcosa. Se ipotizzi la sostituzione di qualcuno devi anche immaginare chi e per fare cosa. Certo, una maggiore determinazione nella sostanza, ma anche nella percezione della leadership, non guasterebbe. Io Zingaretti l’ho votato, negli spazi circoscritti in quello che ho potuto dire o fare, però è vero che ora ci si aspetterebbe una diversa determinazione. Soprattutto, direi, una diversa determinazione percepita. Si potrebbe discutere a lungo su che cosa è la sostanza dell’azione politica, ma se la percezione comune appare sbiadita questo è un fatto. E non va bene. Ci sono delle praterie davanti con quello che sta succedendo e quello che potrebbe succedere, però bisogna mettersi a cavallo e andare, se uno sta lì a conversare a bordo della prateria facendo i conti dei decimali che il partito riesce a mantenere non si va da nessuna parte. Anche se incredibilmente e sorprendentemente questo Pd, nonostante la sbiaditezza, regge».
Qualcuno avanza l’ipotesi che il Pd non avanzi nei sondaggi perché succube dei 5 Stelle: che ne pensa?
«Il Pd non avanza perché non propone contenuti e passioni. Contenuti e passioni nelle quali chi sta a guardare, o chi non sta più nemmeno a guardare perché è sfiduciato, possa identificarsi. Accidenti, dovrebbero dirsi, questo è il futuro che vorrei per me e i miei figli, questo è quello che vorrei per contrastare la barbarie, questo è quello che vorrei per un’idea di politica umana, anche allegra. Per me il concetto di allegria in politica è fondamentale. C’è una bella frase di Foucault che ho citata nel libro. In un suo scritto che si intitola “istruzioni per la vita non fascista”, dice: “Fra le varie regole, non abbiate la convinzione che essere militanti voglia dire essere tristi”. È perfetta».
Veniamo alla Puglia, allora. Che giudizio ha sul governo di Emiliano?
«A me la partita con Fitto sembra abbastanza aperta nonostante le apparenze. Certo, poteva non esserlo. Nel senso che il centrosinistra avrebbe mantenuto senza problemi la sua amministrazione se non ci fossero stati errori incrociati in bilico fra politica e ostilità personali. Penso al rapporto di Emiliano con Renzi. E questo lo considero uno dei demeriti del governatore: aver evocato ostilità così ribollenti da tradursi poi nelle divisioni che ci sono offerte in questi giorni”.
È questo l’errore più grave di Emiliano? Il suo bruttissimo rapporto con Renzi?
«No. Per me l’errore più grave di Emiliano è stato quello di non aver nominato l’assessore alla Sanità. Che non è neppure un errore, ma una sgrammaticatura politica. Altre cose sono più di stile che di sostanza, invece quella scelta la trovo criticabile».
Perché l’ha fatto?
«Bisogna chiederlo a lui. Ma io credo che se non nomini l’assessore che controlla il 90% del bilancio della Regione e magari lo fai, ipotizzo, perché pensi che chiunque tu metta in quel posto potrebbe far male o addirittura fare cose poco pulite, questa è una sconfitta della politica. Perché la politica è delega, non esiste “faccio tutto io che sono bravo e onesto”. La bravura di un vero leader è non fare le cose direttamente, ma trovare coloro che le fanno. E bene. È stata una violazione fondamentale della regola della buona politica».
Uno sguardo al post Covid-19. Cosa pensa del giudizio che ha dato Michel Houellebecq sulla umanità post-coronavirus: saremo uguali a prima, anzi peggio?
«Houellebecq ci ha abituato a giudizi che io credo siano ispirati dal bisogno di farsi notare. Io direi che se si esce dai luoghi comuni, si capisce che il mondo è già cambiato. Il mondo di oggi è migliore di quello di ieri. La natura dell’individuo è complessa. Gli individui resteranno capaci di fare grandi cattiverie, ma anche di straordinarie imprese. Saremo peggiori? La trovo una noiosa banalità. Ma anche l’opposto, saremo migliori, è altrettanto banale. Fuori dai luoghi comuni, io ritengo possibile che ci sia una ricomparsa del virus, ma sono convinto anche che siamo prontissimi a bloccare qualsiasi escalation, perché ora siamo in grado di controllarla. E poi il vaccino arriverà. Avremo ancora dei mesi difficili, ma con l’anno nuovo ci avvieremo a un’altra normalità. Perché molte cose che sono venute fuori dalla crisi potrebbero rimanere ed essere rimodulate. Un uso intelligente del lavoro a distanza, per esempio, che significa ridurre un sacco di spostamenti inutili, nevrotici, significa ridurre l’inquinamento, significa rendere flessibile il rapporto fra vita familiare e lavorativa, significa rendere più efficace la didattica e lo studio. Se riusciamo a tenerci questo penso che alla fine, nel complesso, vivremo meglio. Quanto alla crisi economica, abbiamo visto i numeri secondo i quali la ripresa c’è e sta galoppando. Ma non voglio fare previsioni, soprattutto perché negli ultimi tempi se ne sono fatte troppe. Più di tutte quelle che venivano riviste dopo quindici giorni. Come cambiare i risultati immaginati di una partita di calcio una volta che la partita è stata giocata. Non ha senso».