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Carocci (Cinema America): “E’ stato Sorrentino a svelarci la magia del cinema” – VIDEO

Profilo Facebook di Valerio Carocci

Adesso le magliette bordeaux del Cinema America le cercano tutti e non solo a Trastevere, nel cuore di Roma, dove le vili aggressioni dei fascisti di Casapound ai ragazzi che animano le serate del “Cinema in Piazza” nel centro e nelle periferie della Capitale le hanno fatte diventare un simbolo di democrazia e di partecipazione in tutto il Paese. Ma, al di là della ovvia condanna delle violenze fasciste, è il progetto e il modello culturale dei ragazzi dell’associazione “Piccolo America”, che promuove gli eventi in tre arene romane con il pienone di spettatori ogni sera, che incuriosisce e non solo a Roma. Destra e sinistra, ragazzi e famiglie, coatti e intellettuali: tutti insieme a sfidare la calura e a vedere i più bei film del patrimonio artistico italiano ed internazionale e a discuterne in piazza con attori e registi. Qual è il segreto e la chiave del successo di un’occasione di partecipazione popolare così rara per i nostri tempi? 

“Fu il regista Paolo Sorrentino, che nel 2013 venne a presentare “La dolce vita” al Cinema America occupato a far scattare la scintilla e farci capire che avevamo in mano un tesoro” racconta – in questa intervista a FIRSTonline – Valerio Carocci, 27 anni, già scout laico, fondatore e presidente ma soprattutto mente e anima del “Piccolo America”. Che però avverte: “Quando cominciò la nostra avventura con l’occupazione del Cinema America a Roma per impedirne la demolizione, nessuno di noi era cinefilo e in realtà quello che cercavamo e che cerchiamo ancora adesso sono spazi di partecipazione, di solidarietà, di inclusione, di accoglienza, di confronto, di integrazione tra cultura e politica, rispetto a cui il cinema è uno straordinario volano di comunicazione ma non fine a se stesso”. Forse – come spiega lo stesso Carocci – l’esperienza del “Cinema America” non è esportabile tout court in altre città d’Italia ma merita di essere conosciuta e meditata anche perché i ragazzi delle magliette bordeaux sono determinati a dargli un seguito che va ben oltre le serate d’estate. Vediamo quale. 

Presidente, dopo le aggressioni fasciste di Casapound ai ragazzi del “Cinema in Piazza” di Piazza San Cosimato a Trastevere, nel cuore di Roma, quanto vale oggi, in termini di identità culturale e politica, una maglietta della vostra associazione, il “Piccolo America”, che sta animando le notti della Capitale in questa torrida estate? 

“Le magliette del “Piccolo America”, al di là delle nostre stesse intenzioni, sono diventate un simbolo in cui il campo democratico e progressista può riconoscersi in modo chiaro e diretto e al di fuori degli steccati, proprio in un momento in cui la sinistra di simboli ne ha pochi. E’ una cosa che ovviamente ci fa piacere perché, al di là delle aggressioni fasciste contro i nostri attivisti, segna l’evoluzione di un percorso in cui l’iniziale esperienza del Cinema America, che abbiamo occupato nel novembre del 2012 dopo un lungo confronto con gli abitanti di Trastevere per evitarne la demolizione e uno dei soliti episodi di speculazione edilizia, si è trasformata in impresa culturale e politica”. 

Quante ne avete vendute finora di magliette e chi le compra? 

“Tantissime, ma non è  stato e non è una operazione commerciale. Le magliette non hanno un prezzo: chi le vuole, deve solo fare un’offerta libera. Il bello è che vanno a ruba e che ce le chiedono tantissimi giovani ma anche persone anziane o di mezza età che trovano nel nostro “Cinema in Piazza”, a Trastevere come nelle due nuove arene che abbiamo allestito nella periferia di Roma, nel Parco Casale della Cervelletta a Tor Sapienza e al Porto Turistico di Ostia, territorio sequestrato dal Tribunale di Roma per  restituirlo alla legalità, un punto di incontro che prima non c’era. Quello che si è avvicinato a noi è un popolo trasversale, che unisce non solo destra e sinistra, ma che va da giovani talvolta un po’ coatti a raffinati intellettuali: la difesa della democrazia e della libertà e il gusto del confronto è quello che – attraverso il cinema di qualità – li mette insieme”. 

Involontariamente, le aggressioni che avete subito da Casapound vi hanno dato una notorietà nazionale, ma non crede che tutto ciò rischi offuscare un po’ il successo del “Cinema in Piazza” che avete promosso a Roma e soprattutto l’unicità del vostro modello culturale? 

“In effetti la cronaca – ora per via delle aggressioni fasciste ma l’anno scorso per via degli ostacoli, poi superati, che ci aveva posto la Giunta Raggi – ha un po’ offuscato l’originalità del nostro progetto culturale che è sempre stato quello di rompere le barriere della cultura e di creare, attraverso il cinema e un uso massivo dei social, luoghi e spazi di aggregazione, di inclusione, di solidarietà e di partecipazione in una città che ha bisogno di aprirsi e di ridefinire la propria identità. Non si può affidare Roma solo al turismo mordi e fuggi o alla solitudine delle periferie. In questo senso il cinema può aprire e cambiare il modo di fare politica, nel senso nobile del termine, così come la politica e il confronto pubblico possono evitare al cinema di diventare autoreferenziale e di chiudersi in se stesso. E’ questo che racconta l’esperienza del “Cinema in Piazza” che quest’anno totalizzerà nelle tre arene estive di Roma 104 serate di proiezioni gratuite con 104 film differenti, dibattiti con registi, attori, sceneggiatori e maestranze,  retrospettive e grandi classici del patrimonio cinematografici nazionale e internazionale, senza dimenticare i film dedicati ai più piccini”. 

Portando il “Cinema in Piazza” pensavate di riuscire a riavvicinare i cittadini, e in particolare le giovani generazioni, ai film di qualità e di riempire ogni sera le arene con un successo di pubblico che sembrava impensabile? 

“Ce lo ha fatto capire Paolo Sorrentino nel 2013 quando è venuto al Cinema America occupato a presentare “La Dolce Vita” davanti a un migliaio di ragazzi estasiati. Lì è scoccata la scintilla e lì abbiamo capito che avevamo in mano un tesoro che ci ha spinto a creare con il cinema di qualità un canale comunicativo che l’Italia non aveva mai intercettato. Tenga conto che inizialmente i ragazzi del Cinema America non erano cinefili e che il valore del cinema l’abbiamo scoperto cammin facendo grazie all’aiuto di grandi maestri come Bernardo Bertolucci, Franco Rosi ed Ettore Scola che ci hanno sempre sostenuto della nostra battaglia politico-culturale. Il bello è raccontare il cinema alle persone comuni e farle innamorare dei film che rappresentano un patrimonio del nostro Paese ma il bello è anche vedere tanta gente che si riunisce con piacere nelle nostre arene e che, almeno d’estate, dimentica l’indifferenza e la solitudine”. 

C’è chi ha visto nel vostro modello culturale un collegamento ideale con la stagione delle celebri estate romane degli anni ’70 e ’80 del compianto assessore Renato Nicolini: è a lui che vi siete ispirati con il “Cinema in Piazza”?

“No, con tutto il rispetto per la grandiosa esperienza di Nicolini, il nostro punto di partenza e il nostro percorso è stato diverso. Se mi è permesso un ricordo familiare, il punto di partenza del nostro progetto e del nostro modello culturale lo suggerì mia nonna, Mirella Arcangeli, che era stata assessore al Comune di Roma negli anni ’80 nelle Giunte progressiste dei sindaci Argan e Petroselli.  Ci ricordava sempre che Roma aveva un gran bisogno di un’integrazione viva tra la politica e la cultura e che il cinema poteva essere il volano di un nuovo modo di fare politica per promuovere solidarietà e partecipazione e che al tempo stesso il cinema aveva bisogno di incontrare le persone in carne ed ossa. Dopo lo sgombero del Cinema America, cercavamo un modo per non disperdere le energie e trasformare in una nuova esperienza collettiva quanto avevamo imparato da quella magica serata del 2013 con Sorrentino. Da lì è venuta l’idea delle proiezioni all’aperto e da lì siamo partiti per fondare l’associazione “Piccolo America”, di cui mi onoro di essere presidente e che ha il vanto di avere come socio e presidente onorario Ettore Scola”. 

Ma per promuovere oltre 100 proiezioni nell’estate romana immagino che l’associazione “Piccolo America” abbia dietro di sé una macchina organizzativa potente? 

“In realtà contiamo su 21 volontari e su una squadra di 40 ragazzi, per lo più di Ostia e di Tor Sapienza, a cui diamo un lavoro stagionale pagandoli 30 euro netti a sera più la cena per un impegno che li occupa dalle 19 e 30 alle 23 e 30. Per fortuna le offerte libere di solidarietà dei cittadini non mancano e gli utili che facciamo li reinvestiamo nella nostra associazione”. 

Involontariamente avete però finito per fare concorrenza a grossi personaggi del cinema: da Carlo Verdone, che dirigeva il cinema Roma a un passo da Piazza San Cosimato e che ha chiuso negli anni scorsi per arrivare a Nanni Moretti, che ha fondato il Nuovo Sacher sempre in Trastevere. Ve ne siete resi conto? 

“No, non c’è nessuna concorrenza, sia perché i nostri eventi sono gratuiti  e soprattutto perché non proiettiamo film di prima visione dell’ultima stagione ma solo retrospettive. Per altro Verdone, che è uno nostro sostenitore e che interviene spesso al “Cinema in Piazza”, era solo il direttore artistico del Cinema Roma, che era di proprietà di Er Viperetta, Massimo Ferrero, e che aveva chiuso prima che noi cominciassimo con le nostre serate all’aperto. Con Nanni Moretti ci siamo chiariti da tempo e non gli facciamo proprio nessuna concorrenza, che semmai viene dalle tv commerciali”. 

Il modello del “Cinema in Piazza” è replicabile fuori Roma e in altre parti d’Italia? Ci avete mai pensato? 

“No, non è un modello esportabile. Per due ragioni. In primo luogo perché un’esperienza come la nostra deve partire spontaneamente: non possiamo sostituirci ai ragazzi di altre città, da cui deve venire – se lo vogliono –l’iniziativa. Ognuno deve saper leggere e interpretare il proprio territorio e non possiamo essere noi a farlo per altri. In secondo luogo la capitale del cinema è Roma: qui è facile invitare in piazza registi e attori, ma non altrettanto in altre città d’Italia. Noi però siamo disponibilissimi a mettere il nostro know how a disposizione di altre città e di altre esperienze simili ed è per questo che collaboriamo con il Festival di Amantea in Calabria, con quello  di Perugia e con gli eventi cinematografici organizzati dai ragazzi del Giambellino alla periferia di Milano”. 

L’estate del “Cinema in piazza” dura però solo due mesi ma nel resto dell’anno che si fa? Avete pensato a come dare continuità alle vostre serate magiche? 

“Certamente. E’ per questo che vogliamo riaprire e rilanciare a Trastevere la Sala Troisi per farne un punto permanente di proiezione di cinema di qualità. Abbiamo vinto il bando del 2015 che ha una dotazione di un milione di euro per i lavori di ristrutturazione che si affianca ai fondi  che possiamo investire noi con le sottoscrizioni, ma siamo alle prese con i ricorsi al Tar che verranno discussi ad ottobre. La nostra idea è di trasformare Trastevere in una multisala diffusa nel territorio con proiezioni che illuminino i più bei vicoli del quartiere e che possano coinvolgere anche gli storici ponti sul Tevere. Se riusciremo a vincere la battaglia per la Sala Troisi il “Cinema in Piazza” non ballerà più solo d’estate”. 

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