La bolletta energetica per le aziende e le famiglie italiane è sempre più cara, con gravi ripercussioni sulla competitività del sistema delle imprese e sui livelli di vita delle persone. Tra i maggiori “imputati” di questa crescita vi è la componente A3 delle bollette elettriche, che sta letteralmente esplodendo (il GSE stima andrà oltre 10,4 mld nel 2012).
In sintesi, grande peso va sempre più assumendo la componente “verde” del costo dell’energia, che viene ulteriormente enfatizzata dalla modalità con cui tale voce finisce per pesare in particolare su famiglie e pmi. Ma la problematica non si esaurisce certo qui. A questa dinamica cui vanno poi sommate una serie di riduzioni di costo riservate ai grandi consumatori, che vengono pagate da chi grande operatore non è:
– servizio di interrompibilità (ex legge 99/09 per le ultime assegnazioni, in realtà è un beneficio di cui godono da tempo): remunerazione pari a 150.000€/MW/anno a fronte della disponibilità a ridurre istantaneamente il carico. Il costo del sussidio per la collettività è di 500-550 milioni di euro. Lo sconto per il cliente compreso tra i 10 e i 20 euro/MWh a fronte di un costo dell’energia di circa 75-80 euro/MWh;
– servizio di riduzione istantanea dei prelievi (ex decreto legge 3/2010). Si tratta della misura pro Alcoa di cui poi beneficiano anche altri grandi clienti sulle isole maggiori: la remunerazione pari a 300.000 €/MW/anno a fronte della disponibilità a ridurre istantaneamente il carico. Lo sconto per il cliente è fino a 40 euro/MWh e non è cumulabile con interrompibilità e import virtuale. Il costo del sussidio in bolletta per i consumatori è circa 160 milioni di euro;
– esenzione oneri di dispacciamento (legge 99/09 art. 30.19): riservato ai clienti con potenza interrompibile > 40 MW. Lo sconto per il cliente è compreso tra i 3 e i 6 euro/MWh ed è cumulabile con interrompibilità e import virtuale. Il costo del sussidio per i consumatori è compreso tra 100-150 milioni di euro;
– import virtuale (legge 99/09 art. 32.6): introdotto per incentivare la realizzazione di interconnector da parte dei clienti finali per 2500 MW complessivi, consente agli assegnatari di beneficiare del prezzo di un contratto estero grazie all’intermediazione di uno shipper. Il vantaggio è pari al differenziale tra prezzo estero e prezzo italiano, ridotto di una fee. Lo sconto per il cliente è intorno ai 10 euro/MWh (fino ad un max di 14 alle quotazioni attuali) ed è cumulabile con interrompibilità e import virtuale. Il costo del sussidio per i consumatori è circa 330 milioni euro;
– esenzione oneri di sistema (Provvedimenti di determinazione delle tariffe dell’Autorità per l’energia ed il gas) sui consumi di energia mensili che eccedono i 12 GWh. Il costo del sussidio per la collettività è circa 300-400 milioni euro. Lo sconto per il cliente – per un grande energivoro – è fino a 15 euro/MWh ed è cumulabile con tutti gli altri benefici.
Inoltre, a questi costi “espliciti” – anche se di norma non conosciuti dal cittadino – si devono aggiungere i costi di trasmissione e dispacciamento, quadruplicati (!!!!!) dal 2004 al 2012 da 4,51 a 16,40 euro /MWh per utenze baseload in media tensione.
Le ragioni di tale incremento sono molteplici, in questa sede pare però importante sottolinearne due:
– la remunerazione riconosciuta a Terna per gli investimenti sulla rete. Infatti, mentre è fuori discussione il ruolo importante giocato da Terna nello sviluppo dell’infrastruttura, qualche rilievo pare possibile sia in riferimento alla remunerazione riconosciuta a tali investimenti (pari al 6,9%) nel precedente periodo regolatorio 2008-2010 –anni non dimentichiamolo di tassi estremamente bassi- sia alla rilevante quota per cui è stata richiesta nello stesso periodo l’extra remunerazione (un ulteriore aumento del 3% della remunerazione base) riservata agli investimenti strategici (circa 1.940 milioni di euro su 3.000 milioni, come segnala l’Aeeg, avendo quindi classificato i 2/3 delle opere come strategiche…).
– l’aumento degli oneri relativi al mantenimento in equilibrio ed al bilanciamento del sistema, dovuto alla caratteristiche peculiari delle fonti rinnovabili, ed in particolare allo loro discontinuità e non programmabilità in assenza di interventi specifici a ciò dedicati. Senza scendere troppo nei dettagli tecnici, alcuni esempi possono bastare a dare un’idea della problematica: la scorsa estate, per periodi abbastanza lunghi, in alcune zone del Paese, la domanda di energia elettrica durante il giorno era soddisfatta completamente dalla produzione rinnovabile (in particolare fotovoltaico), con priorità di dispacciamento, che com’è naturale veniva quasi completamente meno al calar della sera, con la necessità quindi di essere sostituita in maniera abbastanza repentina da produzione termo tradizionale.
Quindi durante il giorno le centrali termoelettriche venivano mantenute accese al minimo tecnico per essere poi in grado di fornire l’energia necessaria nel corso della serata/notte. Con la conseguenza che, nel periodo di cui sopra, si è potuto notare un forte incremento del prezzo dell’energia (da fonte tradizionale) notturna: d’altra parte, se lavoro poche ore al giorno, il break-even lo devo fare in quelle ore…. Ma non diversamente, l’assenza di programmabilità delle rinnovabili (domani ci sarà il sole? il vento soffierà né troppo poco né troppo forte?) fa sì che il produttore non si “prenoti” il giorno prima al fine di immettere l’energia in rete. In assenza di tale produzione, il soggetto responsabile dell’equilibrio del mercato provvederà a “prenotare” un produttore tradizionale, e siccome l’ordine di merito parte dai più efficienti e procede a scalare, finirà per essere “chiamato” un produttore più costoso, che sarà poi quello che determinerà il prezzo per tutti (system marginal price). Se poi il giorno dopo ci sarà il sole, il produttore rinnovabile immetterà in rete (priorità di dispacciamento), ma ci sarà più energia del necessario e quindi non tutta sarà utilizzata, ma sarà certamente pagata tutta, e ad un prezzo più caro per il sistema…. E si potrebbe continuare….
Come siamo arrivati sin qui e cosa fare? Le ragioni sono certo molteplici e risalgono a scelte di lungo periodo del nostro Paese. Di certo, però, per quanto riguarda gli anni più recenti, paghiamo l’assenza di una strategia energetica nazionale complessiva: quando, pochi giorni dopo la vittoria elettorale del governo Berlusconi nel 2008, il Ministro Scajola si presentò all’assemblea annuale di Confindustria ed annunciò il rientro dell’Italia nel nucleare, promettendo la posa della prima pietra di una nuova centrale entro il termine della legislatura e lasciando intendere un modello di produzione di energia per il futuro fatto di 25% rinnovabili., 25% nucleare, 50% fossili, non poteva certo prevedere la richiesta di referendum né l’esito referendario.
Ma appariva sin da subito ben chiaro come il Governo – del tutto legittimamente – avesse deciso di fare del nucleare una bandiera, un simbolo della propria capacità di “fare”: e, per questo, lo slogan 25+25+50 poteva bastare. Ma poi, rispetto allo slogan, bisognava fare qualche passo in avanti….. E invece, anche se l’articolo 7 della legge n. 133 del 2008 prevedeva una delibera emanata dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, che definisse la strategia energetica nazionale, in modo da indicare le priorità di breve e lungo periodo per il nostro Paese, gli anni sono passati senza significativi passi in questo senso, anche se i provvedimenti specifici non sono certo mancati. Ma era ipotizzabile pensare di poter delineare una strategia complessa come quella energetica sulla base di uno slogan o non sarebbe stato meglio se la discussione sul merito dei provvedimenti fosse avvenuta a valle di un approccio complessivo e articolato alle problematiche energetiche del nostro Paese? In sostanza: ha avuto senso ragionare per spezzoni? Non sarebbe invece stato indispensabile partire da una vera consultazione pubblica che coinvolgesse i cittadini, gli operatori e le associazioni per costruire un consapevole quadro prospettico d’insieme, che coniugasse le scelte relative al mix di produzione con quelle riguardanti lo sviluppo delle infrastrutture di trasmissione e distribuzione? Che quadro di riferimento si è dato agli operatori ed agli investitori al fine di organizzare le loro scelte strategiche? E se una delle ragioni per il ritorno al nucleare era quella della sicurezza energetica, la recente “esplosione” dell’unconventional gas in paesi a basso rischio geo politico, non doveva almeno imporre di riflettere più approfonditamente su uno dei presupposti (fondati) della scelta nucleare, e cioè la necessità di diminuire la dipendenza energetica nei confronti di zone del globo “a rischio”? Tutto ciò conferma l’impressione che, al di là delle specifiche scelte di merito, si sia negli anni scorsi perso molto tempo utile –da parte del Governo di centro destra- per inseguire con continui annunci scelte più ideologiche e “di bandiera” che di reale sostanza, con questo trascurando invece l’opportunità di affrontare in maniera lungimirante problematiche come quelle relative all’incentivazione del fotovoltaico, che ha consentito certamente in una prima fase di recuperare il colpevole ritardo del nostro Paese su questo fronte, ma che poi è almeno in parte degenerata in fenomeno prettamente speculativo e finanziario, non ha prodotto una vera filiera industriale nazionale e corre adesso il rischio di aver ipotecato tutte le risorse disponibili, sottraendole alle rinnovabili elettriche diverse da fotovoltaico, a quelle termiche, all’efficienza energetica.
Cosa fare a questo punto? Senza alcuna pretesa di esaustività e completezza, si vogliono di seguito elencare alcuni possibili “filoni di intervento” su cui stimolare la riflessione e le decisioni, in un quadro organico che il Paese aspetta da troppo tempo:
– è urgente aprire una discussione su cosa va in bolletta e cosa va in tassazione generale (evidentemente situazione economica permettendo): voci come i regimi tariffari speciali per le ferrovie od altre di natura più generica andrebbero infatti spostate a carico del bilancio dello Stato. Ma non diversamente bisognerebbe affrontare il nodo della “tassa sulla tassa”, che caratterizza ad esempio il gas metano, per il quale è prevista il calcolo dell’IVA sulle accise, che procura allo Stato un extra gettito di oltre il 6% (costituendo l’accisa circa il 30% del totale imponibile comprendendo anche l’addizionale regionale in favore delle regioni che la richiedono).La tassazione diventa ancor più odiosa per tutte le situazioni di morosità del cliente finale, in cui l’impresa di vendita pur non recuperando gli importi dovuti, è tenuta al versamento del tributo, senza possibilità di rivalsa;
– conseguentemente, decidere chi paga e chi no in bolletta. Si tratta di rimettere mano agli attuali schemi di incentivazione attivando un percorso logico corretto, che preveda innanzitutto l’individuazione delle priorità di politica industriale per il Paese (quali settori di base, energivori e non, rilevanti per la competitività di sistema, nonché settori particolarmente esposti a concorrenza internazionale), a cui concedere le agevolazioni, con una selezione di merito che abbia quindi alla base le scelte prospettiche strategiche, superando gli attuali criteri troppo spesso meramente meramente quantitativi;
– chiedere ai produttori di energia rinnovabile di farsi carico degli oneri di bilanciamento del sistema, dotandosi (singolarmente, in forma associata o pagando terzi) delle necessarie strutture di accumulo, così da fornire l’energia con continuità e prevedibilità nell’arco delle 24h. Accumuli che se invece predisposti da Terna o Enel Distribuzione finirebbero necessariamente in bolletta, e quindi pagati ancora una volta prevalentemente da famiglie e pmi;
– spingere sullo sviluppo della generazione distribuita ad alta efficienza (così da minimizzare i costi di produzione), individuando un nuovo paradigma di sistema elettrico che superi il modello di produzione accentrata ed i conseguenti costi in infrastrutture, consentendo progressivamente di ridurre i costi di trasporto, dispacciamento e bilanciamento. In questo senso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (segnalazione AS898) ha, tra l’altro, rappresentato recentemente che “il mancato sviluppo di reti private – a servizio non solo di imprese industriali, ma anche commerciali e di servizi, come previsto dall’articolo 28 della Direttiva 2009/72/CE – si potrebbe tradurre da un lato in una riduzione delle opportunità di crescita per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile e in cogenerazione ad alto rendimento – che quindi sarebbero limitate ai sistemi di auto-approvvigionamento e agli impianti che immettono l’energia prodotta nella rete pubblica – e, dall’altro lato, in una minore concorrenza nei confronti dei gestori delle reti pubbliche di trasmissione e di distribuzione e, indirettamente, ai proprietari dei grandi impianti di generazione che immettono l’energia prodotta nella rete pubblica. Per quanto riguarda i gestori delle reti pubbliche di trasmissione e di distribuzione, infatti, essendo i loro ricavi proporzionali all’energia che transita su tali reti, la minaccia di una riduzione di domanda a causa dello sviluppo dei Sistemi di Distribuzione Chiusi costituisce un potente incentivo ad una efficiente gestione di tali reti pubbliche, al fine di ridurre gli oneri di trasmissione e dispacciamento e quindi la convenienza ad adottare soluzioni impiantistiche basate su reti private”. Tale posizione induce a ritenere che la mancata corresponsione delle tariffe di rete da parte degli utenti appartenenti ai sistemi di utenza non si debba tradurre per forza in un aumento delle tariffe di rete per gli utenti esterni ai sistemi di utenza in quanto tale mancato gettito potrebbe/dovrebbe rimanere in capo ai gestori delle reti e costituire un driver per i medesimi gestori di rete all’efficientamento delle proprie attività senza alcun costo aggiuntivo in bolletta e per il consumatore finale sia esso domestico o industriale.
– accelerare gli investimenti di interconnessione con gli altri paesi europei, al fine di valorizzarne le peculiarità del mix produttivo e di conseguenza anche l’efficienza e la flessibilità del nostro parco di cicli combinati, che ben si presta a modulare le produzioni più rigide di altri paesi. E’ davvero impossibile pensare di costruire una politica energetica che superi il livello nazionale, per integrare i sistemi energetici continentali e per realizzare l’interconnessione dell’intero spazio mediterraneo (anche Nord Africa per intercettare gli impianti del futuro progetto Desertec, se verrà effettivamente realizzato a costi competitivi)? Questo permetterebbe di effettuare una “divisione del lavoro” tra i vari Paesi, che valorizzi specificità, competenze, storie industriali, ad esempio concentrando l’eolico nel nord Europa, dove i venti sono forti e costanti, ed i fondali bassi per l’off-shore, utilizzando il carbone tedesco, così come il nucleare francese, per fare la produzione di base (base load) per tutta l’Europa, ed i cicli combinati italiani per la modulazione dell’offerta. Quest’ipotesi, affascinante, ha però bisogno della costruzione di un sistema europeo che superi gli egoismi nazionali e la logica per cui ogni paese deve avere un suo campione nazionale, e di investimenti importantissimi nelle reti di trasmissione, nazionali e transnazionali, che superino i colli di bottiglia esistenti, che nascono dalla storia e dalle logiche nazionali, ma sono anche funzionali –dobbiamo saperlo- ad arbitraggi e rendite di posizione dei vari produttori (spesso proprio i “campioni nazionali”).
Si tratta quindi, in sostanza, di riprendere in mano assetti, equilibri, rendite di posizione, facendo lo sforzo di individuare un modello sostenibile per gli anni a venire, là dove la sostenibilità sia interpretata nella sua accezione ambientale ma anche economica, così da consentire il mantenimento e – se possibile lo sviluppo – di una presenza industriale qualificata nel nostro Paese, in coerenza con la sua storia. Il Governo Monti ha di recente dimostrato di voler “prendere per le corna” il tema della liberalizzazione dell’approvvigionamento del gas (attraverso la separazione proprietaria di Snam da Eni), forse la “partita elettrica” potrebbe essere la prossima sfida. E’ l’auspicio di chi scrive.
L’articolo apparirà nella versione completa su Management delle Utilities (www.rivista-utilities.com), la rivista fondata e diretta dal prof. Andrea Gilardoni della Bocconi.