Ritorno all’utile già nel 2018 e tagli al personale contenuti in mille unità: un numero pesante, ma che sarà in parte riassorbito dalla cessione di alcune attività. Sono questi due dei punti chiave del piano industriale presentato da Banca Carige alla comunità finanziaria e alla stampa nel corso di un evento alla Borsa di Milano: un piano complesso e ambizioso, che propone una drastica inversione di tendenza e infatti non a caso chiamato “Transformation Plan”.
Il piano finisce nel 2020 e propone tre grandi piani d’azione: “Innanzitutto liberarsi della zavorra del passato – ha detto l’amministratore delegato Paolo Fiorentino -: lo stock di Npe, ovvero di Non Performing Exposures, è il peggiore in Italia e abbiamo un cost/income ratio insostenibile, dell’81%”. Poi ci sono le basi per il rilancio che la banca ligure, fortemente radicata sul territorio non solo in Liguria ma anche in Lombardia, Toscana e Sicilia (in tutto 500 filiali e un milione di clienti), vorrebbe mantenere forte, tramite una rinnovata efficacia commerciale che prevede un piano contenuto di esuberi: in aggiunta al vecchio piano ce ne saranno 500, per un totale di mille (con la chiusura di 120 filiali), alcuni dei quali riassorbiti dalle cessioni, come ad esempio quella di Creditis.
“Abbiamo anche elevato il Fondo di solidarietà a 43 milioni – ha spiegato l’amministratore delegato -, e la dieta riguarderà anche i dirigenti, che passeranno da 65 a un 30% in meno”. “Puntiamo soprattutto – ha detto ancora Fiorentino – a una riduzione del costo del personale, utilizzando di più il part time: le risorse scenderanno sotto le 4.000 unità nel 2020 (-20%, così come gli sportelli saranno il 20% in meno, ndr), ma soprattutto il costo calerà del 16% dagli attuali 316 ai 264 milioni alla fine del piano”.
La terza grande area d’azione del piano, che renderà possibili le altre oltre che un ritorno all’utile quantificato in 25 milioni già l’anno prossimo (utile netto) e in 146 milioni nel 2020, è il rafforzamento patrimoniale da oltre 1 miliardo. Che passa a sua volta da tre fasi: la prima in ordine temporale, che si chiuderà nelle prossime settimane e dunque prima ancora dell’aumento di capitale previsto a fine anno solare, è rappresentata dalle operazioni Liability Management, ovvero una diversa gestione delle passività.
“Obiettivo dell’operazione – ha detto Fiorentino – oltre alla cessione degli Npl è una drastica riduzione dell’Npe Ratio, ovvero il rapporto tra crediti deteriorati e il totale dei crediti erogati. Attualmente il nostro è oltre il 21%, dovrà scendere intorno all’8%”. Il piano prevede anche una gestione proattiva degli Utp, acronimo di “Unlikely to pay”, ovvero i prestiti a rischio sofferenza. Il cost/income ratio dovrà invece passare dall’81% attuale al 56,7% tra tre anni.
Ma la parte più sostanziosa del rafforzamento patrimoniale, cioè oltre la metà, arriverà dall’attesissimo aumento di capitale da chiudere entro fine 2017: dai soci ci si aspettano 500 milioni cash, più 60 milioni in arrivo da un’altra categoria distinta di investitori, legata a operazioni di Liability Management (LME). Infine le dismissioni, che sono quelle che si concretizzeranno solo nel 2018 e varranno in tutto, insieme all’LME, circa 480 milioni: saranno venduti asset immobiliari di pregio, la piattaforma di servizi finanziario Creditis e il business Merchant Book.
Il nuovo piano al momento convince i mercati: in apertura di seduta il titolo di Banca Carige guadagnava subito più del 3% a 0,25 euro per azione, è sgonfiarsi progressivamente a – 0,29% a 0,2427 euro per azione. Lo stesso amministratore delegato, Paolo Fiorentino, ha riposto estrema fiducia nella riuscita dell’operazione: “Siamo fiduciosi, l’ipotesi che il piano non vada in porto è assolutamente residuale”.
A non mostrare troppo entusiasmo nei confronti del Transformation Program sono invece, come prevedibile, i sindacati. La questione è ovviamente quella dei posti di lavoro: circa 1 lavoratore su cinque, o poco meno, rischia il posto da qui al 2020. “Il piano si accanisce sui lavoratori, mentre manca strategia ricavi”, ha detto Giulio Romani, segretario generale di First Cisl, l’associazione dei bancari della Cisl. “Volontarietà e sostenibilità sociale devono essere i punti fermi della gestione delle ricadute occupazionali”, auspica Romani.