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Carige, Auci: “Che voltafaccia dei 5 Stelle” – VIDEO COMMENTO

Imagoeconomica

Con un decreto d’emergenza, il Governo ha salvato Banca Carige. Lo ha fatto fornendo garanzie sui bond fino a 3 miliardi di euro e istituendo un fondo da 1,3 miliardi per coprire sia la sottoscrizione di nuove azioni in caso di ricapitalizzazione precauzionale sia le garanzie sull’emissione di passività da parte dell’istituto ligure.

Già prima della firma di Mattarella e della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il provvedimento aveva suscitato numerose polemiche da parte delle opposizioni. Non tanto sul merito, quanto sul metodo, dato che, nonostante il tentativo di prendere le distanze dal passato, la decisione su Carige si pone in linea di continuità con i salvataggi bancari varati dal governo Gentiloni, su cui il Movimento 5 Stelle non aveva risparmiato offese e recriminazioni.

“Il salvataggio di Banca Carige andava fatto: quello che colpisce è il voltafaccia dei Cinque Stelle”, sostiene il presidente di FIRSTonline, Ernesto Auci. Anni di invettive da parte del partito guidato dal vicepremier, Luigi Di Maio, si sono tradotti in un copia e incolla, “paragrafo per paragrafo”, del decreto di salvataggio delle banche venete e di Mps approvato dal governo Gentiloni nel 2016. Nessun cambiamento, ad eccezione dei nomi degli istituti coinvolti.

Cosa può succedere adesso? “Sono stati usati soldi pubblici per fornire le garanzie necessarie alle obbligazioni che emetterà Carige – continua Auci – Questi fondi saranno recuperati solo nel caso in cui Carige, una volta ristrutturata, potrà essere venduta a investitori privati o ad altre banche, italiane o estere. Altrimenti dovrebbe intervenire lo Stato, immettendo nuovo capitale nell’istituto. Sarebbe un’operazione ad alto rischio”.

Del resto, anche Giancarlo Giorgetti ha ammesso che le insidie non mancano: “Nel decreto c’è scritto, nella seconda parte – ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio – che la ricapitalizzazione precauzionale passa anche attraverso Bce e Commissione europea, quindi non dipende soltanto da noi”.

Il governo Gentiloni fece lo stesso tentativo per le banche venete (finite poi a Intesa Sanpaolo), andando però a sbattere contro il veto di Bruxelles.

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