Fondata nel 1977 e oggi diretta da Gianfranco Carbonato, presidente e amministratore delegato, Prima Industrie è – al di là del pianeta Fca – ciò che rimane del primato industriale di Torino: un gioiello di tecnologia applicata alla manifattura, “una delle poche aziende se non l’unica – racconta l’imprenditore torinese nell’intervista a FIRSTonline – che produce sia le macchine a laser che le stesse sorgenti laser che le alimentano”. Un gruppo che in 40 anni di storia ha installato 13.000 macchine per l’industria in tutto il mondo e che nello scorso autunno ha lanciato una nuova divisione d’avanguardia: Prima Additive, che si occupa di produzione additiva di parti metalliche, un business che nel 2017 a livello globale è stato stimato in circa 7,3 miliardi di dollari e che cresce a ritmi vertiginosi, più del 20% ogni anno. Un’azienda che ha patito gli anni difficili della crisi, che si è rilanciata anche grazie al piano Industria 4.0 del precedente governo e che ha gli occhi puntati sulla Cina: proprio nei giorni scorsi un socio di Hong Kong è salito oltre il 10% e Prima Power Suzhou, la controllata cinese, ha acquisito nel 2018 il 19% della cinese Cangzhou Lead Laser Technology, leader nelle macchine laser. E potrebbe non fermarsi qui.
Dottor Carbonato, l’8 gennaio Joseph Sou Leung Lee ha incrementato la partecipazione detenuta in Prima Industrie, portandola dal 7 a oltre il 10%, e ha detto che potrebbe salire ancora. Sta cambiando l’azionariato?
“Il socio ha già chiarito di non avere intenzione di puntare al controllo della società. Lee è un nostro partner da molti anni, ha un’azienda quotata alla Borsa di Hong Kong ed è il nostro distributore nella parte Sud della Cina. Possiede anche il 30% di Prima Power Suzhou, attraverso la quale controlliamo il 19% di Cangzhou Lead Laser Technology. Non è nemmeno l’unico socio cinese che abbiamo: c’è anche Yunfeng Gao, che è appena sotto il 10%, col quale invece non abbiamo nessun rapporto commerciale. E poi come azionista di riferimento, al 29%, c’è la famiglia Mansour, da non confondere però con gli sceicchi proprietari del Manchester City: sono finanzieri britannici, di origine palestinese e di religione cristiana, che ci sostengono dal 2001. Fanno parte del cda ma ci hanno sempre lasciato la massima autonomia operativa”.
Restiamo sulla Cina: puntate molto sul mercato del gigante asiatico, nonostante quello che sta accadendo negli scenari economici globali?
“Il nostro primo mercato di sbocco sono gli Stati Uniti, ma la Cina si gioca il secondo posto con l’Italia. Pechino sta rallentando, è vero, ma il nostro outlook rimane positivo. L’ultimo anno è stato double face: l’automotive ha registrato una flessione e questo ci ha impedito di crescere, ma nel complesso il mercato cinese ha tenuto. La Cina del resto è un Paese dirigista, capace di intervenire rapidamente sulle strategie politiche ed economiche. E in ogni caso non è il nostro unico mercato: vendiamo in 80 Paesi e siamo fisicamente presenti in 30 di questi, e produciamo beni strumentali per vari settori, dall’automotive all’aerospaziale, all’energia. Quindi siamo in grado di differenziare sia geograficamente che industrialmente. Ad esempio nel 2018 ha sofferto l’automotive ma l’aerospace è andato molto bene”.
Cosa vi aspettate invece dal 2019?
“L’economia potrebbe rallentare, anche perché i beni strumentali sono ciclici a differenza di quelli di consumo. Prevediamo pertanto un anno di consolidamento, di crescita moderata. Non siamo in grado di prevedere una grande crescita. A livello internazionale ci aspettiamo un outlook negativo dalla Turchia dopo le vicende valutarie dell’anno scorso, mentre dovrebbe tornare a crescere il Brasile”.
E l’Italia, le cui previsioni non sono così entusiasmanti?
“In Italia abbiamo registrato un boom tra la fine del 2017 e la prima parte del 2018, grazie agli incentivi previsti dal piano Industria 4.0. Il Paese era tornato a crescere e questo aveva fatto sì che dal solito 15% di quota di fatturato sul totale di Prima Industrie (con l’85% destinato all’export) riuscimmo a salire al 20%. Industria 4.0 non ha fatto comodo solo a noi: era indispensabile, per la produttività e la competitività del Paese, rinnovare il parco di beni strumentali delle imprese. Le tecnologie legate all’industria evolvono molto velocemente, in alcuni casi i macchinari delle nostre fabbriche erano datati di 15 anni. Ecco perchè la conferma di Industria 4.0, seppur con una formula rivista, è stata importante: sarebbe tuttavia stato ancora meglio far capire le intenzioni sin da subito, ci avrebbe permesso di evitare il rallentamento degli ordini a fine 2018. Ma in compenso a gennaio gli ordini stanno ripartendo molto bene. Il piano andrebbe confermato almeno un altro anno, fino al 2020 compreso: la nostra industria ne ha troppo bisogno”.
L’incertezza legata alle mosse del nuovo Governo ha per caso influito anche sulla caduta del vostro titolo in Borsa negli ultimi sei mesi (-40%)?
“Nel 2018 tutti i titoli legati alla tecnologia e ai beni strumentali hanno sofferto, in tutto il mondo. In Italia è andata peggio perché si è aggiunta la sfiducia degli investitori, soprattutto di quelli stranieri, verso le aziende del nostro Paese. Se un algoritmo dice che l’Italia è un Paese a rischio, è ovvio che i mercati si regolano di conseguenza. Nel 2019 però il titolo sta risalendo la china, abbiamo fatto anche un’operazione di buyback”.
Il vostro nuovo gioiello è Prima Additive. Di che cosa si tratta?
“E’ la terza divisione del gruppo, dopo Prima Power, che sviluppa, produce e commercializza macchine laser e per la lavorazione della lamiera, e Prima Electro, che sviluppa, produce e commercializza elettronica e sorgenti laser. Prima Additive è invece legata all’Additive Manufacturing, ovvero alla produzione additiva di parti metalliche. Si tratta di una continua innovazione nel laser per la lavorazione dei materiali, offrendo alle aziende soluzioni ‘chiavi in mano’, nonché il relativo supporto applicativo ed i servizi. E’ un mercato ad altissimo potenziale, nei quali noi vantiamo un altissimo know how essendo sia produttori di laser che di macchine a laser. Senza contare che è un’attività che interessa gli stessi settori e gli stessi clienti con i quali abbiamo già rapporti commerciali”.
Oltre alla Cina, avete in mente altre acquisizioni?
“Teniamo gli occhi sempre aperti ma al momento il nostro focus rimane principalmente sulla Cina. L’acquisizione del 2018, che ci ha portato a rilevare il 19% di Cangzhou Lead Laser Technology, è, nei nostri piani, solo la prima di due fasi. Entro 18 mesi contiamo infatti di aumentare la nostra partecipazione in quella società, fino a prenderne il controllo”.
Sul fronte ricerca e innovazione, avete un rapporto storico con il Politecnico di Torino. Quali saranno le prossime iniziative in questo senso?
“Con il Politecnico il rapporto è consolidato e riguarda anche la collaborazione industriale. Stiamo cercando di far aumentare il livello delle competenze nel campo della fotonica, che sarebbe quello dei laser, e che secondo noi ha un grande futuro. Da quest’anno, sempre grazie al piano Industria 4.0, stanno partendo i Competence Center: si tratta di centri istituiti in partenariato pubblico-privato, con lo scopo di orientare le imprese e formare gli imprenditori verso progetti di innovazione e ricerca. Noi saremo presenti sia a Torino che a Milano, collaborando anche con il Politecnico di Milano”.