L’industria degli elettrodomestici lancia l’allarme sulla tassa per la CO2 che la Ue si prepara a varare. Il trend al reshoring che riguarda da qualche anno, secondo i dati europei e dell’ISTAT, tre aziende su quattro, rischia di bloccarsi e, anzi, di trasformarsi in un movimento inverso, con la ripresa di nuove delocalizzazioni. Il pericolo viene dalle scelte dell’Unione europea in tema di decarbonizzazione, che mirano a tassare le materie prime e i beni ad alto contenuto di emissioni inquinanti provenienti da paesi che non tutelano l’ambiente. Ma, quello che è molto grave, dimenticano di tassare anche i prodotti finiti che contengono queste materie e che arrivano già in pesante dumping ecologico.
Un quadro fosco, nemmeno tanto lontano poiché si tratta dell’incombente CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), progettato per proteggere l’industria europea nella difficile e assai costosa fase della transizione ecologica – la Next generation EU – dalle importazioni di materie e materiali come il ferro, l’acciaio, il cemento, i fertilizzanti, l’alluminio e l’elettricità prodotti in dumping ecologico e quindi a prezzi nettamente inferiori.
Il CBAM entra in vigore in fase transitoria dal 2023 per diventare interamente operativo entro il 2030. In allarme sono i comparti manufatturieri europei, italiani e, in prima fila, gli elettrodomestici che verrebbero colpiti da pesanti aumenti, intorno al 15-30 per cento, dei costi di fabbricazione.
Tassa anti-CO2: da Applia Italia allarme per l’industria del bianco
Firstonline ha interpellato Marco Imparato, direttore generale di Applia Italia, l’associazione confindustriale che riunisce i produttori di apparecchi domestici e professionali e che, insieme ad altre associazioni, intende sensibilizzare governo e opinione pubblica sulle possibili conseguenze dell’applicazione del CBAM.
“Premessa fondamentale: Applia Italia supporta pienamente l’obiettivo di decarbonizzazione dell’Unione europea per il 2050 – afferma Imparato – Nel corso degli anni, gli elettrodomestici hanno fornito livelli di efficienza sempre più elevati, contribuendo significativamente agli obiettivi climatici dell’Unione europea. Uno dei principali obiettivi della rimozione delle quote gratuite dell’ETS combinata con il Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam) è ridurre i cambiamenti climatici fissando un prezzo per le emissioni di CO2. Pertanto, è essenziale prevenire la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio in modo che le emissioni non vengano semplicemente spostate altrove”. Le associazioni europee del comparto manufatturiero hanno subito inviato a Bruxelles obiezioni e richieste urgenti per una estensione della tassazione ai prodotti finiti di importazione. Anche perché si tratta ancora di una proposta di regolamento espressa dalla Commissione e quindi riformabile. I tempi però tendono a prolungarsi, come spesso accade quando entra in gioco la burocrazia centrale europea.
La tassa anti-Co2 e il pericolo di nuove delocalizzazioni
“L’allarme del settore è giustificato poiché, senza la correzione richiesta, ben presto si verrà a creare una spinta alla delocalizzazione delle emissioni di carbonio dall’UE, ovvero i prodotti finiti fabbricati al di fuori dell’UE contenenti tali materie prime otterranno un vantaggio competitivo rispetto a prodotti simili fabbricati nell’UE. Quando le emissioni di CO2 si verificano al di fuori dell’UE, non si avrà alcuna possibilità di monitorare o regolamentare tali emissioni e ciò rappresenta un grave impatto ambientale negativo, che mina l’obiettivo stesso del CBAM”.
L’industria degli apparecchi domestici e professionali origina un fatturato complessivo di oltre 16 miliardi di euro dei quali l’export ha superato ampiamente quota 10 miliardi e conta 35 mila posti di lavoro diretti e più di 100 mila di addetti dell’indotto. Una eccellenza italiana con centri di innovazione ancora importanti ma che, a causa del dumping asiatico e di quello proveniente dalle fabbriche delle multinazionali site in Turchia e nell’est Europa, da anni ha perso competitività e quote di mercato.
E’ possibile quantificare il danno che rischia di provocare il CBAM sul costo di produzione degli elettrodomestici? “Prendiamo la lavatrice che contiene circa 25 kg di acciaio, 3 kg di alluminio e 25 kg di cemento – risponde Imparato – Con l’attuale livello di costo della CO2 secondo il meccanismo ETS di 60 € / tonnellata, ciò si tradurrebbe in un aumento dei costi fino a 10 € per ogni lavatrice prodotta in Europa. E’ evidente quindi che se altre regioni del mondo non istituissero un meccanismo simile, la produzione in Europa sarebbe svantaggiata. Nel complesso, le revisioni previste per il sistema ETS (Emission Trading System), combinate con l’attuale proposta CBAM, sono di fatto inique nei confronti di tutte le aziende manifatturiere con sede in Europa che utilizzano acciaio, alluminio e cemento e producono un impatto ambientale negativo, in quanto non eliminerebbero la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Le modifiche proposte non sono inoltre in linea -conclude duramente Imparato -con altri obiettivi altrettanto importanti che l’Unione europea si è prefissata ovvero sostenere la competitività europea e preservare i posti di lavoro europei”. Un’osservazione fondamentale: quei 10 euro si moltiplicherebbero in modo irreversibile sul prezzo finale al consumo, a causa della moltiplicazione dei costi della filiera industriale e commerciale.
A rischio migliaia di posti di lavoro
A quanto risulta e, secondo i circoli economici di Bruxelles – anche a causa delle pressioni delle multinazionali che hanno fabbriche fuori dalla Unione – la reazione è lenta e inadeguata e rischia di produrre un immediato effetto distorsivo sul mercato. “La proposta della Commissione sul CBAM riconosce in parte questa preoccupazione – obietta Imparato – e la clausola di revisione suggerisce che la Commissione UE dovrebbe approfondire il tema e potenzialmente affrontare la problematica per i prodotti finiti con una futura legislazione. Non vi è tuttavia alcun obbligo vincolante per la Commissione in tal senso e l’explanatory memorandum della proposta della Commissione conclude che sarebbe troppo complicato dal punto di vista amministrativo gestire i prodotti finiti con tale meccanismo. Dubitando che tale complessa questione possa diventare meno complicata nei prossimi anni, riteniamo che la Commissione debba occuparsi ora della legislazione indispensabile per affrontare tale problematica”.
Quello che in termini ancora più precisi l’industria manufatturiera europea si aspetta è molto chiaro: l’UE deve emanare tale legislazione da subito, altrimenti si rischiano migliaia e migliaia di posti di lavoro oltre a un’invasione di materiali e prodotti finiti altamente inquinanti e fabbricati in siti produttivi e con processi altrettanto inquinanti. Proprio il contrario degli obiettivi dell’ambiziosa politica ambientale comunitaria poiché non si tratta soltanto del comparto degli elettrodomestici ma di tutti gli altri giganteschi settori manifatturieri europei.