È una brutta notizia, ma non è una sorpresa. L’azione dei carabinieri contro il caporalato d’agosto in tutta Italia non può definirsi inaspettata. Diciamo subito che il bracciante indiano morto ieri era stato assunto regolarmente. Però, i carabinieri hanno scoperto aziende con produzioni agricole sostenibili e a basso impatto ambientale impegnate a sfruttare a piene mani lavoratori in nero. Peggio, ricorrono sistematicamente al caporalato. Le banche dati consultate dai carabinieri nei giorni scorsi hanno consentito di accettare direttamente cosa accade in centinaia di aziende. La faccia pulita di molta agricoltura italiana, alla fine dei controlli, è risultata falsa. In dieci giorni sono state controllate 958 aziende e 507 sono risultate irregolari: il 52,92%. Un record di illegalità confinato, purtroppo, in fondo alla classifica delle cose da affrontare. I militari hanno agito in tutta Italia con reparti territoriali e con il personale specializzato dei carabinieri per la Tutela del Lavoro. Su circa 5 mila lavoratori controllati, 1268 sono risultati irregolari. Più di 2 mila gli extracomunitari trovati nelle campagne da Torino a Pescara, a Brescia a Siracusa che hanno portato alla chiusura di 145 aziende agricole e a centinaia di denunce per “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”: caporalato, appunto.
Abbiamo anche elevato sanzioni e ammende- dicono i carabinieri- per oltre 4.900 mila euro e sequestrato furgoni per il trasporto di braccianti agricoli nei campi. Insomma, un quadro allarmante in tutta Italia in condizioni di semischiavitù che smentisce coloro che lo volevano circoscritto al Sud. In molti ancora lo sostengono ma “è un’idea che non ha più senso” ha spiegato a “ Collettiva“ della Cgil, il sociologo Francesco Carchedi. I carabinieri e le forze di polizia colgono con maggiore evidenza il caporalato laddove ci sono aree di maggior ricchezza agroalimentare come nelle grandi province del Nord, è la tesi di fondo. La politica non incide sul fenomeno che silenziosamente corrode il mercato del lavoro legale e intacca là credibilità delle migliaia di imprese agricole impegnate in passaggi complessi.
Servono nuove leggi?
La brutta contraddizione è che in quelle zone del Nord ci sono le maggiori produzioni agricole sostenibili e certificate. Ci sono associazioni e gruppi solidali che promuovono l’acquisto responsabile di prodotti di aziende che non sfruttano manodopera in nero. È la strada etica, ma quando anche noi siamo andati nelle campagne e nella grande distribuzione per capire, la realtà ci è venuta incontro con tempi lunghi. Deve crescere senz’altro la responsabilità dei produttori onesti e la denuncia civile verso chi ricorre al caporalato e indebolisce la concorrenza. Qualità e disonestà imprenditoriale non possono stare insieme.
La denuncia della premier non basta
“La vergogna del caporalato è lungi dall’essere sconfitta, nonostante gli sforzi compiuti da governi di diverso colore” ha detto Giorgia Meloni alla Camera dopo la terribile morte del bracciante immigrato Satnam Singh nelle campagne laziali. Il blitz dei carabinieri dimostra che non occorrono nuove leggi. I militari hanno agito in base a quelle che ci sono e sono stati all’altezza della missione. Ci vuole solo volontà e organizzazione, aspettando la direttiva europea specifica che entrerà in vigore nel 2027. Inconcepibile che nel frattempo continueranno ad entrare nelle nostre case pomodori, farine, succhi di frutta, vini ottenuti con il mercato nero delle braccia. La premier possiede una straordinaria dose di orgoglio e sa che il fenomeno va contro gli interessi sociali ed economici dell’Italia. Può fare di più e meglio per non rischiare di essere oscurata da quella vergogna gridata in Parlamento.