Brasile sempre più in crisi. Oltre al tracollo economico, col Paese entrato ufficialmente in recessione, precipita anche la situazione politica, che vive il periodo di maggiore difficoltà da 30 anni a questa parte: il consenso per il presidente Dilma Rousseff è crollato sotto il 10% e il suo governo perde i pezzi.
Il Partito del Movimento Democratico Brasiliano (Pmdb, Partido do Movimento Democratico Brasileiro) ha infatti votato per acclamazione l’uscita dalla coalizione che appoggia l’esecutivo guidato da Dilma, ora sempre più in bilico. La direzione nazionale del partito guidato dal vicepresidente del Paese, Michel Temer, che potrebbe succedere a Dilma Rousseff alla presidenza in caso di sfiducia a quest’ultima da parte del Parlamento, ha deciso “l’uscita immediata dal governo”, chiedendo ai propri ministri di dimettersi.
Una decisione che appariva quasi scontata. Nelle ultime ore suoi massimi esponenti avevano già indicato che la rottura era di fatto definitiva. “Sarà un vertice di uscita, un addio al governo. Secondo il nostro calcolo, il voto per uscire dall’esecutivo sarà superiore all’80 per cento – aveva indicato il parlamentare di Pmdb, Osmar Terra -. Sono cadute una serie di tessere del domino e non è possibile tornare indietro. Il governo continua a provarci, a offrire posti di lavoro, ma nessuno gli crede più”.
La crisi si è aggravata dopo che Rousseff ha nominato ministro della Casa Civile l’ex presidente Lula (in carica dal 2003 al 2011). Un’iniziativa che però le si è ritorta contro, poiché un giudice ha pubblicato un’intercettazione telefonica da cui emerge che la nomina – che avrebbe assicurato a Lula l’immunità – intendeva salvare l’ex presidente dall’arresto per riciclaggio di denaro nello scandalo Petrobras. Lula continua tuttavia a dichiarare la propria estraneità.