Il tema canone Rai è da sempre nell’occhio del ciclone e da anni si sente ripetere che è “la tassa più odiata dagli italiani”. Che sia vero o meno è tutto da dimostrare, specie dopo che la sua riscossione avviene attraverso la bolletta elettrica. Fatto sta che, periodicamente, la sua riduzione o abolizione ritorna all’attenzione della politica. Questa volta però c’è qualcosa di nuovo e diverso. Di nuovo c’è che non siamo, almeno formalmente, in campagna elettorale e quindi si tratta di un argomento che seppure ha grande presa sul pubblico, non garantisce una “riscossione” immediata in termini di consenso politico.
Di diverso c’è che ci troviamo di fronte ad una contingenza tecnologica che potrebbe mutare, e non poco, il peso e il ruolo dei diversi soggetti in campo in tutto il perimetro delle telecomunicazioni audiovisive. Dal primo gennaio del prossimo anno, infatti, prenderà avvio l’applicazione della direttiva comunitaria sulla riallocazione delle frequenze intorno ai 700Mhz, che potrebbe avere grande impatto sul futuro, non solo tecnologico, del Servizio Pubblico fornito dalla Rai.
Andiamo con ordine. A giugno scorso, Luigi Di Maio e Matteo Salvini si trovarono concordi sulla necessità di affrontare il tema canone Rai. L’8 agosto cade il Governo e quello che gli succede, al punto 11 del suo programma, prevede di affrontare il sistema delle telecomunicazioni nel suo complesso, e quindi non solo la Rai e non solo il canone. La settimana scorsa, la parlamentare del M5S Maria Laura Paixa presenta una proposta di legge finalizzato alla abolizione di una “imposta antiquata, oltre che iniqua, che non ha motivo di esistere …” per sostituirla con l’inserimento dei costi nella fiscalità generale.
Nei giorni precedenti, il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia del PD, dichiara: “Non penso sia più tollerabile un canone, al tempo della società digitale, interamente assorbito dalla Rai”. Infine proprio ieri, in Commissione parlamentare di Vigilanza, il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, ha sostenuto che il canone Rai si può ridurre, peraltro proprio pochi giorni dopo aver “bollinato” il Piano Industriale di viale Mazzini. Morale della favola: buona parte del Governo concorda su questa iniziativa, in modo diretto o indiretto.
Tutto sembra convergere verso il punto centrale: la ridefinizione del mercato delle risorse nel settore radiotelevisivo dove il canone versato alla Rai è solo una parte del problema, mentre la parte complementare è costituita dalle risorse provenienti dalla pubblicità in calo progressivo nel settore broadcasting Tv. Si pongono allora due ordini di osservazioni: la prima si riferisce all’intervento e al controllo del Governo sull’uso (o abuso) di una tassa di scopo indisponibile per essere utilizzata per fini diversi da quelli previsti dalla Legge.
Il secondo aspetto si riferisce alla ripartizione di un mercato già in fibrillazione, dove la revisione dei tetti di raccolta pubblicitaria potrebbe causare notevoli sconvolgimenti. Tutto questo potrebbe avvenire, come detto prima, proprio nel momento in cui agli italiani presto verrà chiesto di rimettere mano al portafoglio per ammodernare il proprio apparato di ricezione dei segnali televisivi per consentire il passaggio al DVB-T2. I due aspetti non sembrano sconnessi tra loro.
Come rispondono a viale Mazzini? Recentemente l’Ad Fabrizio Salini ha dichiarato che il canone Rai è tra i più bassi in Europa, che nel corso degli ultimi anni è stato ridotto mentre al tempo stesso veniva richiesto al Servizio Pubblico di fare più cose di prima e, in parte, gli viene sottratto dall’extragettito. Altri aggiungono che il canone rappresenta una fondamentale garanzia di autonomia dalla politica. Tutto vero ma manca qualcosa. Quello che invece fatica ad emergere è come giustificare di fronte a quanti pagano il canone, i cittadini, perché sia giusto e legittimo, oltre che necessario, sostenere questa imposizione.
Siamo nel pieno di uno sconvolgimento epocale della fruizione, del consumo, di prodotti audiovisivi che avvengono sempre più in modalità diverse da quelle tradizionali: tablet, smartphone, Smart TV propongono nuovi contenuti, modelli e linguaggi che richiedono ingenti risorse e progetti industriali di largo respiro, cioè proprio quanto sembra mancare alla Rai. Il 2020 è dietro l’angolo: la battaglia è solo all’inizio.
Tenendo conto che la qualità della maggior parte dei programmi trasmessi è molto bassa e tende a peggiorare, ritengo che il canone sia da abolire se non da restituire agli abbonati.